E’ di nuovo Natale e, come ogni anno, mi ripropongo di godermi questo meraviglioso periodo di festa e di famiglia. La speranza, si sa, è l’ultima a morire. Al solito il Natale si rivela una vera corsa a ostacoli, una pista di prova per le migliori acrobate circensi che debbono elegantemente riuscire a gestire, contemporaneamente, le scadenze lavorative di fine anno, le seimila feste di natale fra scuola e attività sportive, le caloriche cene prenatalizie con le amiche.
Ma nonostante tutto ogni anno saccheggio la biblioteca per poter almeno accompagnare la lettura della buonanotte delle mie bimbe con una sorta di avvento letterario, ogni sera un capitolo di una storia a puntate. Cerco e ricerco, tentando di evitare gli ormai più e più volte presi a prestito albi su Babbo Natale in tutte le possibili salse e versioni, dribblo gli anticonformistici albi su mamme natali dalle doti degne del consorte, transito velocemente su alberi di Natale, paesaggi innevati, fiabe della tradizione popolare e improvvisamente vengo fulminata da un nome:
“Guareschi”…
subito vivide alla mente e agli occhi le immagini di Don Camillo e Peppone che tante volte ho visto e rivisto con la mia nonna brescellese, sospesa a metà fra l’emilia rossa e quella cattolica e democristiana.
Con stupore accarezzo “La favola di Natale” scritta proprio dal famoso Giovannino Guareschi nel lontano 1944 ed edita da Rizzoli. Ammetto che lo stupore si è tramutato in curiosità quando ho letto la breve premessa che l’autore ha scritto in prefazione.
Questa favola è nata in un campo di concentramento del Nord-ovest germanico, nel dicembre del 1944, e le Muse che l’ispirarono si chiamavano Freddo, Fame e Nostalgia. Questa favola io la scrissi rannicchiato in un “castello” biposto, e sopra la mia testa c’era la fabbrica della melodia. Io mandavo su da Coppola versi di canzoni nudi e infreddoliti, e Coppola me li rimandava giù rivestiti di musica soffice e calda come lana d’Angora. […]Ma la sera della Vigilia, nella squallida baracca del “Teatro”, zeppa di gente malinconica, io lessi la favole e l’orchestra, il coro e i cantanti la commentarono egregiamente, e il “rumorista” diede vita ai passaggi più movimentati.
[…]Io vi racconterò una favola e voi la racconterete al vento di questa sera, e il vento la racconterà ai vostri bambini. E anche alle mamme e alle nonne dei vostri bambini, perchè è la nostra favola: la favola malinconica d’ognuno di noi. Io, la sera della Vigilia del ’44, conclusi con queste parole la premessa: ma il vento avrà sentito? O, se ha sentito, sarà riuscito poi a superare i baluardi della censura? O, lungo la strada, avrà perso qualche periodo? Ci si può fidare del vento in un affare così delicato?
La favola del Natale nasce con un preciso intento polemico e di denuncia, nulla di ciò che è raccontato, pur nel divagare fantasioso e ricco del testo, è casuale; ogni cosa e accadimento, come racconta Gareschi, ha un preciso riferimento alla realtà. E la denuncia sociale Guareschi la ottiene mirabilmente alternando nel testo momenti di malinconia e tristezza a momenti di puro umorismo e satira.
Penso che Benigni avesse letto la storia prima di pensare al suo capolavoro La Vita è Bella…Guareschi certamente invece aveva letto Alice nel Paese delle Meraviglie che tanto spesso, nell’atmosfera onirica e surreale della favola, ritorna nel racconto natalizio.
La storia narra di Albertino , un bambino che la sera della Vigilia di Natale reciterà la sua poesia per il papà davanti ad una sedia vuota…il suo papà è prigioniero chissà dove in un “Paese lontano lontano. Un Paese curioso, dove l’estate durava soltanto un giorno e, spesso, anche quel giorno pioveva o nevicava. […] Un Paese senza l’uguale, dove tutto quello che è necessario all’esistenza era calcolato con così mirabile esattezza in milligrammi, calorie, erg e ampere, che bastava sbagliare un’addizione – durante il pasto – per rimanerci morti stecchiti di fame.”
Ed ecco che la poesia, se ne esce dalla finestra aprendo le ali e spiccando il volo via con il Vento verso il campo di concentramento dove se ne sta il papà…ma viene catturata e sottoposta a ferrea censura da parte di un omaccio vestito di ferro…
Din-don-dan: la campanella questa notte suonerà.
<<No!>> disse <<Proibito fare segnalazioni acustiche notturne in tempo di guerra!>>
E con un pennello intinto nell’inchiostro di Cina, cancellò molte parole. Poi, di lì a poco, scosse ancora il capo.
Una grande, argentea stella su nel ciel saccenderà…
<<Niente! Contravvenzione all’oscuramento!>> disse. E giù pennellate nere.
Latte e miele i pastorelli al Bambino porteranno…
<<Niente! Contravvenzione al razionamento!>> borbottò. E giù ancora col pennello.
I Re Magi immantinente sul cammello saliranno…
<<Niente!>> urlò furibondo <<Basta coi re! Guai a chi parla ancora di re!>> E giù pennellate grosse così. Poi, afferrato un grosso timbro, le timbrò le ali e disse che poteva entrare.
Intanto nella casa lontana Albertino decide che se la poesia non è riuscita a raggiungere il papà, ci penserà lui! Insieme al fido cane Flik, ad una lucciola che fungerà da torcia ed alla nonna, partiranno in un rocambolesco e fantastico viaggio che li condurrà ad incontrare bizzarri personaggi come
Lo avessi domattina lo leggerei in classe e chiederei nuovi disegni immagini personali di questa meravigliosa e struggente storia e ci guarderemmo in faccia probabilmente sentendo il freddo della neve nel bosco e la dolce struggente leggera pesantezza del sogno di quel natale.
grazie
Grazie a te Alessandra per le bellissime parole!