Le case degli altri bambini

Silvia Sai

Non è stato un colpo di fulmine. La copertina de Le case degli altri bambini, complice una frettolosa lettura, mi ha a lungo respinta. Leggevo del prestigioso riconoscimento come opera prima ricevuto a Bologna da questo albo edito da Orecchio Acerbo ma le illustrazioni di Claudia Palmarucci mi trasmettevano troppa durezza.

Poi è successo che l’ho letto, attentamente, e ho scoperto un capolavoro.

Le case degli altri bambini non è solo un libro curatissimo nella qualità editoriale. E’ un pozzo ricco e prezioso dal quale attingere a piene mani infinite storie per riconoscersi, raccontarsi, scoprirsi o allontanarsi. Raramente un albo illustrato riesce a comunicare così tanto: una gamma ampia di emozioni e stati d’animo, modi di vivere, punti di vista, sensazioni, relazioni, speranze, sogni, paure. Ci racconta di case, di bambini, di famiglie e vite.

Lo fa in un modo così sincero e vero da rendere la fruizione e l’apprezzamento del libro davvero per qualsiasi età, perfetto anche come base per riflessioni condivise e attività laboratoriali.

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Quella che Tortolini e Palmarucci presentano è una galleria di case, case in cui vivono, appunto, “gli altri bambini”. La voce narrante è infatti esterna, ma ben presente, forse un bambino, che insieme al lettore osserva undici affreschi quotidiani e intimi come un passante che a passeggio sbircia dalle finestre. Ciò che più mi piace è la pluralità di punti di vista, e dunque di storie possibili, che gli autori restituiscono in un continuo dialogo tra il “dentro” e il “fuori”: lo sguardo della voce narrante, nel testo curatissimo, si intreccia allo sguardo di chi abita quelle case, uno sguardo sostenuto dalle brevi ma incisive frasi di Tortolini –variate nella grafica e nei colori- e continuamente arricchito dalle prospettive dei disegni a olio e graffite della Palmarucci.

C’è la casa di Matteo
che è piccolissima e ci vivono in undici.
La mamma bionda di Matteo.
Il papà canuto di Matteo.
La sorella grassa di Matteo.
Il fidanzato grasso della sorella grassa di Matteo.
La nonna e il nonno vecchissimi di Matteo.
La zia sempretriste di Matteo e suo marito sempreallegro.
Il cugino di Matteo, figlio della zia sempretriste
e dello zio sempreallegro.
Un parente che prima stava lontano:
si chiama il Parentelontanodimatteo.
Pure un cane.
Barbino si chiama, e si nasconde sempre.

Ah, dimenticavo: ci vive anche Matteo.

Le continue spinte centrifughe verso l’immaginazione offerte da testi e immagini, sono ben contenute da una solida architettura d’insieme: seguendo un ritmo regolare e lento, incontriamo sempre una prima doppia pagina che offre il ritratto, quasi fotografico, di una casa e dei suoi abitanti –introdotta dal medesimo incipit “C’è la casa di…”- e nella doppia pagina successiva il bambino che vive quella casa.
A volte lo vediamo nelle illustrazioni, a volte no. Ma di lui, della sua vita, intuiamo molto grazie a un sapiente dialogo tra immagini, testo, spazi bianchi o affollati, non detti. E c’è molto di non detto.
C’è la solitudine di abitare tristi e vecchie dimore, c’è l’invisibilità dell’infanzia in case affollate di personaggi, c’è l’amore per la propria casa anche se gli altri non la definirebbero tale, c’è la spensieratezza di case e vite che si aprono sulla natura, c’è l’allegria di una vita domestica ricca di persone che vanno e vengono, c’è il sogno di una casa futura…

C’è la casa di Sindel
che non è una vera casa
con i mattoni, le stanze e tutto.
È una specie di capanna di legno e metallo vicino al fiume.
Però Sindel dice sempre cose tipo:
“Vieni a casa mia”, “Andiamo a casa mia”, “Torno a casa mia”.

Capiamo subito che qui non si intende solo raccontare le case come mere dimore. Certo, ci sono case di sasso e di lamiera, case di periferia e del centro, case di vacanza, case lussuose, colorate, ricche, antiche, case vuote, silenziose, opprimenti. Ma le case contengono vite, ospitano forme di genitorialità e parentela, nutrono relazioni, rivelano presenze e assenze, evocano la quotidianità ma anche la vita interiore, dei bambini.

Infinite forme di infanzia.

Ogni casa è presentata come la casa di qualcuno. E questo qualcuno è sempre un bambino, chiamato per nome, a rendere ancor più reali e vicine queste vite possibili. Conosciamo dunque Giacomo, che in una casa piena di oggetti fa i compiti in cucina e gioca in bagno, Ottavio, che vive sopra il cinema America, Lillo, che dalla finestra si tuffa direttamente in mare, Lorena, che par quasi abitare in un museo in cui qualche visitatore, per sbaglio, a volte fotografa anche lei, Simone, che vive nella “Casa del silenzio”, e poi ancora Marco, Giulia, Matteo, Mimmo, Sindel, e infine Claudia.

E’ incredibile quanti pensieri e immaginari incontrino qui una sollecitazione, anche grazie alle illustrazioni ricche di dettagli, di rimandi e di citazioni. Pare quasi di sentire le voci, le risate, i silenzi, le grida, gli odori. E’ altrettanto interessante con quanti linguaggi ci parli. Parole e immagini innestano continuamente su un linguaggio estremamente realistico germogli fantasiosi, surreali, ironici, o caricaturali.

Stiamo parlando di un libro potente che tocca le corde dell’animo.

Uno straordinario viaggio nella conoscenza dell’altro e di se stessi, nella lettura dei bisogni, non esplicitati, di chiunque: avere una casa che possa farci sentire protetti, un luogo in cui riconoscersi, da cui partire e in cui tornare, ma soprattutto un luogo da coltivare nei propri sogni, come ci racconta l’ultima doppia pagina, proprio riferita alla casa di Claudia (l’illustratrice):

C’è la casa di Claudia
che ha tutti i pavimenti di legno.
Una stanza piena di fogli, pennelli, matite e colori,
dove da grande lavorerà tutto il tempo.
Inventerà storie, disegnerà bambini, case, adulti.
Quando Claudia cammina per casa, il pavimento scricchiola.
Vicinissimo c’è un lago.
Per arrivarci bisogna percorrere un viale alberato.
E nel lago c’è un piccolo attracco e una barchetta.
Claudia fa molte vite in barca.
Ma non ora.
Perché non esiste questa casa ora.
Quando Claudia sarà grande, questa casa esisterà.

LE CASE DEGLI ALTRI BAMBINI
Luca Tortolini (testo), Claudia Palmarucci (illustrazioni)
Orecchio Acerbo
Anno di pubblicazione: 2015
48 pp. | 24 x 33 cm.

Prezzo di copertina: 14,50 euro
Età di lettura consigliata: dai 5 anni

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4 risposte a “Le case degli altri bambini”

  1. scaffalebasso ha detto:

    Io, a dire la verità, mi ero accostata a questo libro molto incuriosita da uno stile tutto sommato abbastanza inusuale negli albi. L’idea poi è splendida declinata come avete descritto (io stessa ancor oggi sento il brivido di immaginare le vite degli altri, quando intravedo le stanze illuminate nella sera), secondo me però l’illustratrice caccia dentro quasi a forza molta violenza nelle immagini, forse provocatoriamente, e secondo me rovina l’esito finale.

    • Silvia Sai Silvia Sai ha detto:

      Cara Maria, grazie! Io percepisco in alcune pagine la durezza delle illustrazioni, ma violenza no, mi sembra un termine forte, ma forse, come in tutte le cose, gioca molto la sensibilità e il gusto personale. Vedo quella durezza che restituisce la verità della vita e che a mio avviso è ottimamente sintonizzata con il testo e anche per questo sa parlare molto bene ai bambini. Certamente lo vedo molto adatto ai bambini più grandicelli e ai ragazzi, ma mi ha sorpreso vederlo usare in alcune scuole dell’infanzia e sentire anche una maestra di nido raccontarmi di una splendida esperienza di condivisione del libro proprio con i bimbi di tre anni!

  2. caterina ha detto:

    anche a me le illustrazioni hanno sempre respinto, e avevo l0idea che fosse didascalico, ma dopo questa recensione mi sono incuriosita e mi riprometto di guardarlo attentamente. Grazie

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