L’isola in Via degli Uccelli

Ada

A volte ci si può avvicinare a queste storie pesanti con momenti di tenerezza e amore. Questo è l’insegnamento di mia madre: le cose devono finire con un lieto fine. E io seguo questo insegnamento. Uri Orlev  nell’intervista di Cult Book per Rai Letteratura

Orlev ha avuto una infanzia difficile, di quelle che, oggi, ti porrebbero a un bivio sul far dell’età adulta. Diventare una persona che si ascolta, soffre e riesce a guardare avanti o scegliere di non scavare, di non sentire e di perdersi in quello che la vita ti presenta giorno per giorno. Ma forse questa scelta lui non l’ha proprio avuta. Immagino che, poco più che bambino,  sia diventato grande in un istante, forse quando ha perso sua madre sotto i colpi nazisti e non aveva notizie del padre prigioniero in Russia e si nascondeva nelle case polacche per sfuggire alla deportazione. O forse è diventato grande a poco a poco, senza riuscire a capire cosa stava accadendo, nei due anni di prigionia nel lager di Bergen Belsen, lo stesso dove è stata rinchiusa Anna Frank.

Ma come si fa a essere grandi a undici anni? Come si fa a vivere soli, nascosti per sfuggire ai rastrellamenti, senza parlare con nessuno se non con un topolino bianco, alla ricerca rassegnata di cibo, per lunghi mesi? Orlev ci avvicina a qualcosa che per ciascuno di noi e dei nostri figli immaginiamo come insostenibile, come qualcosa a cui non saremmo riusciti a sopravvivere.  Invece Alex, il protagonista del romanzo semi autobiografico di Orlev, “L’isola in Via degli Uccelli” ce la fa.

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Alex ha undici anni, come Orlev ai tempi delle deportazioni, e, proprio come lui, per un certo periodo di tempo si nasconde nel ghetto ebraico di Varsavia. Sfuggito ad un massiccio rastrellamento in cui vede portare via suo padre, riesce a sopravvivere grazie al sacrificio di un vecchio amico, che muore per farlo fuggire. Alex era un bambino ubbidiente, era stato capace di rimanere chiuso in casa per intere giornate, aspettando nascosto che suo padre rientrasse dal lavoro, leggendo….

Per quanto tempo potevo resistere a star seduto a leggere? […] Naturalmente se un libro è davvero bello si può leggerlo una seconda e anche una terza volta. Robinson Crusoe. O Re Mattia. Solo che non si può leggere tutto il santo giorno, un giorno dopo l’altro.

Alex è sopravvissuto anche grazie alla compagnia di Robinson Crusoe, con cui spartiva le sorti di naufrago solitario su quella che, per lui, era un isola deserta in mezzo ad una via del ghetto polacco, Via degli Uccelli, e grazie a Neve, un topolino dal pelo bianco e morbido con cui giocava e chiaccherava. Alex, come Orlev, sopravviveva, procurandosi ciò che gli serviva, frugando, di casa in casa, nelle vie del ghetto, muovendosi furtivo all’alba alla ricerca di cibo, passando da un buco all’altro fra le soffitte diroccate. Ma per sopravvivere non è solo il cibo ad essere necessario, è il sentirsi parte di una relazione, di una quotidianità famigliare…Alex vive per mesi recluso in una sorta di soffitta come Anna Frank, ma in una soffitta parzialmente demolita, con un piano che affaccia a picco sul vuoto sottostante e a cui riesce a accedere con un ingegnoso sistema di corde e scale che ritira, una volta salito, per non essere visto. Alex traccia con un gessetto rosso, appartenuto a qualche coetaneo ormai lontano, una linea, quella da non oltrepassare sul pianerottolo dove viveva, perchè oltre quel confine tracciato si era avvistabili da terra.

Alex si aggrappa alla speranza, quella che il lettore ormai ha perso da tempo, di poter reincontrare suo padre che, prevedendo che un giorno potesse essere portato via o potesse succedergli qualcosa, gli aveva detto di non allontanarsi da li, che lui sarebbe tornato.

Sul finire del libro, dopo aver accompagnato Alex in avventure al limite della immaginazione, quasi rassegnati a vederlo sopravvivere trascinandosi quotidianamente in attesa di qualcosa che non arriverà mai, il padre ritorna. Non lo riconosce, non può credere che suo figlio, per tutto quel tempo, l’abbia aspettato nascosto sull’isola in Via degli Uccelli. Non lo riconosce perchè Alex non è più un bambino.

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Non mi ero concesso un solo istante di dubbio. Era questa certezza che mi aveva permesso di andare avanti. Solo adesso che era successo davvero, non ci potevo credere. Adesso che papà era finalmente così vicino a me, potevo permettermi di dubitare.

L’isola in Via degli Uccelli è un libro di speranza, un inno alla voglia di vivere nonostante tutto, in cui Alex ci insegna come si possa giocare, ridere ed innamorarsi anche dopo aver sparato ad un uomo e averlo ucciso. Io non sarei mai stata capace di quello che ha fatto Alex o semplicemente non lo saprò mai, perchè non mi è capitato. Orlev, diventato un Alex adulto, non solo è riuscito a sopravvivere alla terribile esperienza della deportazione, ma a completare il senso della sua esistenza divenendo uno dei più grandi scrittori per bambini e ragazzi sull’olocausto, tanto da vincere, con questo romanzo, il premio Andersen nel 1996.

Per chi vuole svolazzare ancora un po’:

La celebrazione degli 80 anni di Orlev su
Ibby International

Le poesie scritte a 13 anni nel campo di
concentramento di Bergen Belsen pubblicate
da La Giuntina

Il film di Søren Kragh-Jacobsen tratto dal libro
(Le immagini di questo post sono fotogrammi del film)

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