Un giorno un nome incominciò un viaggio

Silvia Sai

Qualche tempo fa Lorenzo Naia, autore del blog La tata maschio, mi ha chiesto di condividere alcune riflessioni sulla tragedia dei migranti morti in mare, le cui vite spesso sono sotto i riflettori mediatici, e altrettanto spesso giacciono silenziose nell’oblio collettivo.

Mi sembrava però troppo difficile trovare la giusta espressione ai miei pensieri. I richiedenti asilo e i rifugiati sono le persone con cui lavoro ogni giorno e nessuna parola mi appariva sufficientemente rispettosa per raccontare le loro vite, ancor più se cariche di dolore e speranze infrante, ancor più se teatro di malumori e invidie, ancor più se queste sono vite bambine.
Poi è successo che ho conosciuto un libro per bambini, amaro, dolce, emozionante e commovente. Un albo illustrato prezioso perchè con estrema delicatezza riesce a comunicare l’indicibile. Mentre leggevo “Un giorno un nome incominciò un viaggio”, un testo poetico e fluente che racconta la migrazione di una bambina attraverso la metafora del nome in viaggio, i pensieri hanno iniziato a prendere forma.
Poi ho assistito ad uno spettacolo teatrale, frutto di un laboratorio condotto dal Teatro dell’Orsa  insieme ai rifugiati e richiedenti asilo con cui lavoro a Reggio Emilia, Questo è il mio nome.
Infine, ho incontrato magnifiche fotografie che accolgono, con rispetto e dignità, frammenti di vite lontane e vicine.

E così ho pensato che si poteva fare: raccontare, raccontare di nomi che viaggiano, e arrivano, forse, tra noi.

[I testi in corsivo e le illustrazioni sono tratti dal libro “Un giorno un nome incominciò un viaggio”, di Antonio Boffa e Angela Nanetti, Edizioni Gruppo Abele, 2014. Le fotografie, che non sono parte del libro, sono di Nicolò Degl’Incerti Tocci].

Un giorno un nome incominciò un viaggio

Un giorno un nome incominciò un viaggio

Perché sull’altopiano tutto sapeva di latte e di canzoni, qui invece aveva fame e paura.

Coloro che sono vivi, sono tutti sopravvissuti. Hanno vissuto la fame e la paura, quelle grandi, grandi davvero. Ci sono tanti nomi piccoli che viaggiano. Bambini e bambine. Nomi giovani ma così grandi contenitori di speranze e futuro. Il nome bambino racchiude l’infinito e la libertà, tutto ciò che potrà essere e un giorno diventare. Qualsiasi forma abbia il nome, sia essa lunga o breve, maschio o femmina, dolce o dura, per un bambino esso è la parte di identità più importante. Spesso l’unica eredità della propria famiglia, della propria terra, della propria storia.

Un giorno un nome incominciò un viaggio. Era un nome di tante lettere e suonava dolce e morbido come l’erba dell’altopiano dopo le piogge. “Quella che danza coi narcisi”, così suonava il nome dato alla bambina. Ma l’erba dell’altopiano quell’anno si fece subito secca e gialla, perché il cielo era stato avaro di nuvole e di pioggia. E il nome incominciò il viaggio.

Sono viaggi che nessun bambino dovrebbe fare. Ma per provare ad aver salva la vita, le persone iniziano a camminare. Non tutte. Cammina chi può farlo, chi ci crede, chi vede dentro di sè una scintilla di speranza. E i bambini spesso danno speranza, insieme al coraggio e alla forza. E così, chi può, incomincia un viaggio, e cammina e cammina e cammina.

Un giorno un nome incominciò un viaggio

Qui il nome incontrò altri nomi che gridavano in lingue sconosciute, e per la prima volta ebbe paura. Fu rinchiuso in una casa di fango e lì rimase ad aspettare. Intorno a lui suoni sconosciuti e solo una voce a consolarlo, ad avvolgerlo nello scialle morbido delle parole che gli erano note. Una voce, e sempre quella, ma non gli bastava. E continuò ad avere paura.

Si viaggia soli. In piccoli gruppi, a piedi, nascosti in macchina, su camion, stretti tra centinaia di persone. Forse c’è un volto amico, forse questo amico cade, e si perde. Il viaggio si intreccia con molte altre persone, ma quando si scommette sulla vita si è sempre, irrimediabilmente, soli. Così come di fronte all’indicibile.

In quella casa aspettò con altri nomi e vide la luna crescere e morire tante volte, e vide la crudeltà e il dolore senza riconoscerli.

giorno un nome incominciò un viaggio

Nel viaggio convivono la paura del presente e la speranza del futuro. E poi c’è il passato. Così vicino e così distante, intriso di ricordi che fanno male, una mamma lontana, indifesa, un figlio appena nato e ancora mai conosciuto, un fratello che vorrebbe scappare, un’amata che attende, e ogni minuto che passa la sua vita scivola via se non sei tu, solo tu, a salvarla. Il passato è anche bello, nel ricordare si dipingono a colori cose che laggiù apparivano grige e nere. Ma i bambini che viaggiano, spesso, se sono stati fortunati e protetti, conservano ricordi di latte e miele.

Dopo tre mesi, ma il nome che veniva dall’altopiano non sapeva contare il tempo. Lassù, tra l’erba e il vento, il tempo scorreva e basta. Il tempo lassù non aveva parole, era dolce e profumato il tempo, lassù sull’altopiano. […] Lassù sull’altopiano, era libero di muoversi nell’aria, di saltellare di bocca in bocca o di riposare quieto.

Per chi su questa terra è fortunato, viaggiare equivale a gioia e scoperta. Ogni passo compiuto è un pezzo guadagnato che arricchisce. Al contario, questi viaggi sono una progressiva perdita, di cose materiali, di dignità, di identità, di amore per se stessi, di fiducia verso l’altro. Il nome che viaggia perde se stesso nelle mani di altri.

Dopo tre mesi qualcuno scrive il nome su un foglio di carta. Lo fece senza amore e senza conoscenza, e alcune delle sue lettere belle rimasero imprigionate nell’inchiostro […] E di nuovo qualcuno lo imprigionò nella carta, qualcuno che non l’amava, e gli rubò ancora le lettere più belle.

Un giorno un nome incominciò un viaggio

Il viaggio prosegue. Noi vediamo il mare che inghiotte vite, ma la grande distesa d’acqua è solo l’ultimo ostacolo per quelle esistenze che vanno quotidianamente a braccetto con la morte e con la paura. Un giorno, all’alba del naufragio del 3 ottobre 2013, un uomo eritreo mi disse: “Voi siete così scioccati per i morti in mare. Ma sai che cosa c’è, prima? Prima ci sono le cose terribili che abbiamo vissuto nel nostro paese, poi c’è il deserto, e poi c’è la Libia. Infine, il mare. Nessuno parla di tutto quello che c’è prima del mare“. Ma alla fine il mare per molti arriva davvero. E fa paura.

Non c’erano voci né canti nella barca, solo il ringhio del vecchio motore che invocava riposo […] Il nome ebbe fame e sete e di nuovo fame, e sempre più sete […] Finché una notte il mare ruggì e si gonfiò, il vento lottò col mare, il cielo divenne nero come il mare e il mare scuro come il cielo. Per un tempo che il nome non seppe contare, lungo forse come il primo respiro, breve forse come l’ultimo.

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Le morti in mare e sulle spiagge sono terribili, non più di altre, ma terribili, perché spesso anonime. Infinitamente tristi sono quelle croci senza nome sulla terra di Lampedusa. Neppure la morte ha restituito alle giovani vite l’identità negata, violata e infine perduta. Neppure la morte ha restituito il sussurro dei loro nomi.

Fu così che il nome arrivò sulla spiaggia in una mattina di sole tra i gabbiani. Senza più peso, ormai, e senza più paura. Senza fame né sete e senza barca: essa giaceva quieta in fondo al mare […] Un altro nome ora fa compagnia alla bambina nel cimitero che guarda il mare. Il suo era un nome bello e gentile, ma troppo lungo per una piccola croce: la bambina sconosciuta ora si chiama Anna.

Un giorno un nome incominciò un viaggio

Chi sopravvive?

Un giorno ho conosciuto una donna. Bella e forte. Veniva dal Ciad ed era anche una mamma. La guerra l’aveva spinta oltre il mare, la paura l’aveva trattenuta a lungo, la speranza l’aveva convinta. Tre piccole vite erano a lei legate. Otto anni, sei anni, e la più piccola nel suo ventre agitato ma sicuro. “Una ha attraversato il buio del mare con me e la vita nella pancia, l’altra l’ho lasciata sull’altra sponda”, mi raccontò. Partire, restare, entrambe le scelte possono condurre alla morte. Almeno una delle due piccole vite si salverà. E poi, la piccola vita nella pancia, che è sopravvissuta. E il suo nome è Baharia, che significa navigante.

Ma il nome nato tra l’erba e il vento non andò perduto. Tornarono le piogge e l’erba diventò verde e profumata di narcisi lassù sull’altopiano. Tutti ripresero a danzare, gli aironi e le gazzelle, i pastori e le madri. E anche le parole, poiché era arrivato il tempo di essere felici. E nacque una bambina del colore della terra dopo la pioggia la chiamarono “Quella che danza coi narcisi”.

Però. Un’altra, terribile, morte spesso attende chi sopravvive. La morte del nome. Dimenticato, storpiato, ignorato. Non è solo un insieme di lettere. È la valigia, zeppa di ricordi, di legami, di voci che lo chiamano. Una mamma che lo sussurra, un papà che lo urla, un fratello che lo invoca, un’amata che lo implora, un figlio che lo nomina ridendo. Sono le voci degli altri, di coloro che amano, a mantenere vivo il nome, a dare forma e sostanza all’identità, e infine, ragione di vita. Ma quando quelle voci che vogliono bene al nome scompaiono, quando nessuno più lo pronuncia, restano solo corpi a vagare nella nebbia.

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Questo è il mio nome. Io ti vedo. Tu mi vedi?

Chiedono i giovani profughi nel teatro. Cantano, si raccontano, implorano, si stupiscono. Muovono corpi esili e pesanti nello spazio, condividono sguardi e memorie. E infine domandano: Questo è il mio nome. Io ti vedo. Tu mi vedi?

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Chiediamo i loro nomi. Pronunciamoli. Con amore e conoscenza, e se necessario, scriviamoli, con rispetto. Portano tracce di antenati. Portano futuri. Sono nomi che significano e hanno molto da raccontare. A volte, sono tutto ciò che resta.

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Questo post non avrebbe forse mai visto la luce senza la perseveranza di Lorenzo nello stimolarmi a scrivere. Desidero ringraziarlo di cuore, così come ringrazio la casa editrice Gruppo Abele per le proposte che portano avanti con passione. Grazie a Nicolò per le meravigliose foto, alcune inedite. Ringrazio il Teatro dell’Orsa per il cammino così profondamente umano cui danno continuamente vita. Consiglio di consultare il loro sito per le repliche dello spettacolo citato (13 e 14 dicembre 2015 a Milano!).

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14 risposte a “Un giorno un nome incominciò un viaggio”

  1. Cristiana Radivo ha detto:

    Grazie per la testimonianza che infonde speranza nell’umanità che a volte mi sembra rifiutata da chi forse ha troppo e non sa vedere tante sofferenze.

  2. Teresa ha detto:

    Spero e mi auguro che ci siano tante Silvia in giro x il mondo! Ne abbiamo davvero bisogno…grazie

    • Silvia Sai Silvia Sai ha detto:

      Teresa, sei troppo gentile. Grazie per aver letto il lungo post. E stanne certa, siamo in tanti ad essere sensibili verso il prossimo. Coltiviamo questa sensibilità anche nei bambini…

  3. Ana ha detto:

    Mamma mia Silvia.
    Ringraziamo pure noi Lorenzo per aver perseverato.
    Non ci sono parole, ne libri, ne immagini che possano davvero raccontare. Ma che tu lo abbia fatto con tutte queste cose insieme e, sopratutto, in questi giorni, è importante.
    Ho sempre più voglia di conoscerti di persona e di abbracciarti!
    Un bacio

  4. Alessandra ha detto:

    Grazie Silvia per aver dato voce ai tuoi pensieri. Parole che vengono da lontano, che sono cariche di emozione, di discrezione e cura. Grazie per la condivisione, per aver gettato un ponte verso una comprensione più profonda di una realtà difficile da immaginare.

  5. giulia ha detto:

    Grazie Silvia, è molto bello quello che hai scritto. Cerco il libro e spero di trovare la forza di leggerlo con le bambine.

    • Silvia Sai Silvia Sai ha detto:

      Grazie Giulia. Fammi sapere se riuscirai a leggerglielo. Non è un libro facile, nel senso che, come tutti i libri che affrontano direttamente temi delicati, credo che sia più facile proporne la lettura o in contesti mediati (vedi la scuola) o in seguito a sollecitazioni dirette da parte del bambino (vedi notizie mediatiche). Credo però sia un libro da far viaggiare, perché apre molte porte e moltissimi pensieri.

  6. Simona ha detto:

    Grazie Silvia, molto toccante. Cercherò il libro.
    Meno grazie per le lacrime che scendono. Il tuo testo fa tanto pensare …

  7. scaffalebasso ha detto:

    Mamma mia Silvia! Io però non so, non ho ancora trovato un albo che mi sembra riesca a rendere questo intrico di dolore, speranza, morte, vita, lacrime… È bello leggere le tue parole, mi domando se quelle di libro bastino, ogni proposta in fondo mi sembra una riduzione. Mi sembra non basti. È sconfinato quello che abbiamo davanti, incontenibile, neanche la poesia riesce. Comunque grazie: mi hai fornito un intenso tassello!

    • Silvia Sai Silvia Sai ha detto:

      Cara Maria, grazie del commento. Hai ragione, e non credo esista un albo o un libro che riesca a restituire questa specifica realtà nella sua complessità. I libri possono, credo, solo aprire squarci nelle nostre menti. In questo post specifico, il libro è servito per dare sostegno alle mie riflessioni, anch’esse peraltro parziali. Ma se non lo conosci ti consiglio di leggerlo, perché restituisce un groviglio intenso di emozioni e pensieri, pur nella sua parzialità. È un libro molto umano. E può essere un valido supporto per aprire delle porte doverose e importanti.

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