La danza delle rane

Silvia Sai

Con questo libro giochiamo in casa.

Editoriale Scienza porta sugli scaffali Lazzaro Spallanzani, gesuita, naturalista e biologo (ma uomo di cultura a tutto tondo!) che proprio a Reggio Emilia, precisamente a Scandiano, ha visto i natali nel 1729: i Musei Civici della nostra città ospitano la sua vasta collezione e un liceo scientifico porta il suo nome.

La danza delle rane è un libro che vi consiglio col cuore perché riesce a saldare temi e sfumature diverse armonizzandole in una storia interessante, avvincente, e persino attuale.

Per tutto ciò c’è da complimentarsi con Guido Quarzo e Anna Vivarelli che hanno scelto gli occhi di un ragazzino, Antonio, figlio di mugnai, per raccontare piccole grandi cose della vita: ingiustizie e primi amori, esperimenti scientifici e dibattiti filosofici illuministi, classi sociali e scelte di vita.

Ne risulta un romanzo di formazione appassionante e delicato al tempo stesso, apprezzabile a diversi piani di lettura. È scritto con una di quelle scritture belle e con un ritmo sapientemente dosato; nessun fuoco d’artificio, solo cura delle piccole cose (anche nello stile!) che, messe una dietro l’altra, fotografano un’estate indimenticabile.

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Siamo nelle campagne reggiane, in un luglio afoso di zanzare e mosche. C’è un abate un po’ strano che si aggira per gli stagni a caccia di rane. C’è una famiglia di mugnai, molto lavoro e tre figli (tra cui Antonio). Un giorno, in principio della storia, l’abate, che è Lazzaro Spallanzani, e Antonio si incontrano. Subito dopo (subito no perché prima c’è da convincere il padre a rinunciare a due braccia giovani sul lavoro) Antonio diventa assistente di Spallanzani nella sua villa.

E questa è la storia. Quella di un ragazzino catapultato in un altro mondo, anche se a pochi chilometri da casa; Antonio, che si trova improvvisamente a ricopiare su cartellini, con penna e calamaio, nomi di minerali, piante, meduse, coralli… (“ogni nome, un cartellino”) in uno studio zeppo di libri e oggetti singolari. Ogni sera Antonio rientra a casa, ogni giorno scrive e un po’ si annoia, ogni giorno si avvicina sempre più a questo abate bizzarro e lunatico, un uomo che “aveva sempre un esperimento da seguire, una relazione da scrivere, un libro da studiare”, un uomo dalla mente aperta che lo tratta con rispetto, come un essere pensante e adulto.

— Buongiorno, eccellenza.

Spallanzani stava scendendo lo scalone ed era nella sua tenuta da caccia alle rane: un paio di scarpe robuste e una giacca di tela grezza.

— Mmm… eccellenza, eccellenza… Preferirei essere chiamato professore.

— Sì, eccell… volevo dire professore.

— Sai da dove viene il termine eccellenza?

Antonio scosse la testa.

— Dal verbo eccellere, che significa fare molto bene una cosa… Ti faccio un esempio: tuo padre è bravo a far andare il suo mulino? Fa della buona farina?

— Mi pare di sì.

— Bene, allora possiamo dire che tuo padre eccelle nel suo mestiere. Meriterebbe anche lui il titolo di eccellenza.

All’idea che qualcuno potesse chiamare eccellenza sul padre, Antonio ridacchiò.

L’abate proseguì imperterrito: — Avremmo così sua eccellenza mugnaio, sua eccellenza fabbro, sua eccellenza sarto eccetera. Mi capisci? (…)

— E tu, Antonio, — gli chiese l’abate — in che cosa credi di eccellere?

Che strana domanda. — Io… non ci ho mai pensato…

— Ecco allora qualcosa su cui riflettere mentre camminiamo. Su, andiamo, prima che l’aria si scaldi troppo.

La scrittura degli autori è precisa e fotografa ambienti e personaggi con poche determinanti pennellate, raffigurando gli interni della villa, la campagna, la Rocca del Marchese di Scandiano, e poi dà forma a gesti, parole e oggetti intrisi di quotidianità. Nessun fronzolo descrittivo, solo una precisa capacità di creare immagini concrete. Con fluidità, ci avviciniamo sensorialmente a un’epoca che, si percepisce bene, è molto distante. Le pagine illustrate pienamente da Silvia Mauri compaiono di tanto in tanto a rafforzare l’immaginario con estrema eleganza e ricchezza compositive.

Ci sentiamo vicini ad Antonio: la storia non è scritta in prima persona ma pare così, tanto bravi sono gli autori a restituire lo sguardo, i pensieri e ciò che si agita nell’animo del giovane, senza quella pesantezza che a volte caratterizza questo tipo di narrazioni personali.

Con Antonio viviamo lo stupore per la vita in villa che rappresenta un inaspettato distacco dalla propria famiglia e dalla vita finora conosciuta, ma anche l’opportunità di sperimentarsi in modo nuovo: nel sognare e catturare un sorriso dalla bella domestica Rosetta, nel provare rabbia per il giardiniere suo promesso sposo, nell’indagare misteriose sparizioni (già, ci sarà anche un losco intrigo da smascherare!), e nel tentare di comprendere cosa combina l’abate nel suo laboratorio.

A un certo punto Spallanzani prova a spiegare. Egli vuole inseminare una femmina di ranocchia con una siringa per dimostrare che “le uova non nascono né dal fango né dal marciume e poi quale sia la ragione per cui, per avere un girino, ci vogliono una ranocchia femmina e un ranocchio maschio”. Sì, Spallanzani è considerato il padre della fecondazione artificiale.

Antonio comprende poco delle spiegazioni, sempre essenziali e fugaci, e questo è di grande confronto per i lettori, ai quali non è richiesta alcuna conoscenza pregressa, ma solo tanta sana curiosità, proprio come Antonio.

Chi invece comprende molto bene gli esperimenti, o meglio, la portata rivoluzionaria degli stessi, è Don Liborio, il prete che ogni giovedì si reca alla villa per confessare i domestici (senza rinunciare prima al lauto banchetto offerto). Bellissimo il rapporto tra l’abate e il prete, in cui il primo non esita a criticare le prediche dell’altro perché “rozze, piene di diavoli e superstizione”, mentre il secondo non maschera sospetto e paura per tutto ciò che è nuovo: la paura di nuove scoperte e di nuovi modi di pensare. Una guerra fredda tra due visioni del mondo opposte.

Nel mezzo c’è Antonio. Il figlio del mugnaio incontra persone che hanno viaggiato e raccolto tesori, come il Marchese di Scandiano e la sua “stanza delle meraviglie”; ma comprende anche, grazie a Spallanzani, che se non si studia è facile credere di possedere il corno di un… unicorno! Spallanzani insegna ad Antonio a ragionare con la sua testa, a formarsi un’idea non dando nulla per scontato, anche quando a parlare è il Marchese.

C’è anche bisogno di chi studia questo nostro mondo come è ora e come è stato in passato, per renderlo più comprensibile e misterioso. Si chiama progresso, questo, e il progresso è qualcosa di inarrestabile e universale.

La storia prosegue rendendo Antonio sempre più protagonista agli occhi dell’abate, con il suo silenzio e le sue acute osservazioni pronte a indagare un misterioso inganno ai danni di Spallanzani. E quando sulla via della conclusione si chiarificano i sotterfugi e gli esperimenti con le rane, ecco che ad Antonio viene offerta una possibilità impensata, che incrinerà le sue certezze e quelle della sua famiglia: andare a Pavia insieme a Spallanzani e studiare nel collegio dei gesuiti. In una tensione emotiva importante, leggiamo forse il più bel dialogo del libro, quello tra il padre di Antonio e l’abate Spallanzani.

In fin dei conti, al di là della cornice storica precisa, questa è una bellissima storia universale, poiché racconta di invidie e paure, di curiosità e progresso, racconta di chi vuole sempre sbirciare oltre il limite e chi invece vuole renderlo temibile, di chi crede nelle domande e chi afferma solo risposte; racconta di un bambino che cresce e vede tutto ciò e si trova a capire che c’è un mondo che può essere immaginato e vissuto e non solo accettato.

— Che cosa credi, ragazzo, che chi nasce in un mulino non possa fare altro che il mugnaio? Si intende, il mugnaio è un ottimo mestiere ed è indispensabile che qualcuno lo faccia. E più il mugnaio fa bene il suo mestiere, migliore sarà il nostro pane.

— La storia delle eccellenze… — mormorò Antonio.

L’abate annuì. — Ma nessuno di noi nasce con la strada già segnata.

Antonio scosse la testa. — E invece sì. C’è chi nasce marchese e chi mugnaio.

Spallanzani tacque. — È vero, — riprese a dire — di solito è così. Ma scartare a lato è possibile. A volte si presenta un’occasione, sempre che la si voglia cogliere, e questo sta a te deciderlo.

LA DANZA DELLE RANE

Guido Quarzo e Anna Vivarelli (testo), Silvia Mauri (illustrazioni)

Editoriale Scienza

Anno di pubblicazione: 2019

128 pp. | 13 x 19,5 cm.

Prezzo di copertina: 9,90 euro

Età di lettura: dai 9 anni

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5 risposte a “La danza delle rane”

  1. […] avete letto La danza delle rane troverete in Gabbie aria di casa, non solo per la firma degli autori (Quarzo-Vivarelli), e non […]

  2. Matteo Faggiani ha detto:

    Ho trovato il vostro sito molto ben fatto e curato nei dettagli. Ottime le recensioni e le foto interne ai libri. Grazie, buon lavoro!

  3. Clara Bergamaschi ha detto:

    Mi sembra un libro molto interessante.

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