Un’estate da morire

Silvia Sai

Non so bene come iniziare: capita, quando un libro mi ha convinta pienamente e mi ha lasciato tracce profonde. Ho sempre timore di usare troppe o troppo poche parole.

La verità è che mi piacerebbe sedermi a un tavolino e parlarne, discuterne insieme, davanti a un caffè. Per questo vi invito a leggere il libro e poi ripassare di qua, leggere quanto ho scritto, e dirmi cosa ne pensate. Ma se proprio non resistete…

Un’estate da morire è stata per me, e sono certa lo sarà per molti altri lettori, un’esperienza di lettura forte e a tratti profondamente dolorosa, rischiarata da una scrittura luminosa, segno di un pensiero limpido che nell’autrice, si intuisce, è maturato in consapevolezza con lo scorrere del tempo.

La luminosità è quella tipica dell’estate, ben ritratta nella copertina dell’edizione italiana (quanto mi piace!), quando la luce è così abbagliante da portare in sé anche il buio. E poi le farfalle, colorate e vivaci, ma dall’esistenza breve.

Intuite già la ricchezza di questo libro?

Di Lois Lowry, scrittrice americana di grande successo di pubblico e critica ma poco tradotta in Italia, conoscevo solo The Giver, romanzo distopico appena rieditato da Mondadori Ragazzi (grazie Piero Guglielmino per la segnalazione!) e La famiglia Sappington (Il Castoro). E’ grazie alla casa editrice 21lettere, e alla sua nuova collana per ragazzi, se della Lowry possiamo ora leggere altro, come All’orizzonte (2020) e Un’estate da morire, fresco di stampa.

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A summer to die, questo il titolo originale, è in realtà la prima opera dell’autrice e ci riporta al 1977 quando la Lowry si convinse a scrivere una storia ispirata esplicitamente alla propria biografia, segnata dalla tragica perdita della sorella maggiore in giovane età.

Dunque il romanzo parla di due sorelle, e di un’estate, che sarà tempo di vita, morte e (ri)nascita. Siamo negli Stati Uniti e Margaret detta Meg, 13 anni, si trasferisce per quasi un anno insieme alla sorella maggiore Molly e ai genitori in una casa in campagna “su una strada sterrata circondata da centosessanta acri di bosco e campi” dove il padre potrà godere della tranquillità necessaria a concludere la scrittura del suo libro.

Meg è voce narrante e chiaramente specchio dell’autrice, con lei siamo portati a empatizzare moltissimo, e questa è una delle caratteristiche che rende questa lettura così emotivamente densa.

In questo luogo un po’ sospeso nel tempo, la famiglia vive l’autunno, il lungo inverno, e infine la sospirata primavera ed estate. Ci saranno incontri importanti con persone, e accadranno cose, alcune piccole, altre enormi. Che sia un dialogo, un segno col gesso, un fiore, un orto, una fotografia, un gesto, o che sia la malattia, la morte, un parto, tutto avrà una grande significato nella vita di Meg.

E in una splendida corrispondenza tra forma e sostanza, si ha come l’impressione che tutto ciò che la Lowry scrive, con una prosa ricca ma asciutta, ogni singola parola custodisca un valore intrinseco prezioso, e sia stata scelta con attenzione.

Molti sarebbero i pensieri che vorrei condividere su questo romanzo, ne selezionerò alcuni.

Il rapporto tra le due sorelle, filtrato dalla prospettiva di Meg, è raccontato con una chiarezza introspettiva, onestà di pensiero e una limpidezza di sguardo rara nel rilevare le contraddizioni di una relazione che si fonda su antagonismi, rivalità, dubbi e un infinito amore.

Meg si descrive intelligente ma insicura, e soprattutto non bella né frizzante come Molly, con la quale Meg si pone sempre in paragone. D’altra parte, Molly è appena diventata orgogliosa cheerleader.

Questo libro è anche un viaggio intimo nelle armonie e disarmonie che governano le relazioni familiari, filtrate attraverso le riflessioni di Meg, i suoi stati d’animo e le sue considerazioni, su di sé e sugli altri.

Che meraviglia.

Stanno accadendo delle belle cose qui. Questo mi sorprende un po’. Quando siamo arrivati, pensavo che avrei dovuto tener duro, che mi sarei sentita sola per un anno. Un posto in cui non sarebbe mai capitato proprio niente.

Ora a tutti noi stanno accadendo belle cose. Bè, per mia madre è difficile dirlo, lei è una di quelle persone che apprezza comunque tutto. Molly e mamma sono molto simili. Diventano così entusiaste ed eccitate da farti creder che sia successo qualcosa di meraviglioso; poi, quando ci pensi un po’ su, ti accorgi che in fin dei conti non è accaduto proprio niente.

Poi c’è il tempo, che qui oscilla tra vicinanze e distanze. Non so se sia il frutto di una scelta di traduzione o se fosse presente in originale (opto per questa seconda), fatto sta che il racconto in prima persona restituisce sia un tempo presente -quasi un diario- che porta il lettore al fianco di Meg, che un tempo passato, veicolato nei ricordi della voce narrante.

L’armonia è tale che ho iniziato a farci caso solo ad un certo punto e ho così compreso che la scelta andava ben oltre il livello sintattico: se passato remoto e presente si compenetrano, qui non è solo questione di forma.

Mi è piaciuta la presenza della natura, così discreta e pregnante, in un narrare pacato di accadimenti che a un tratto sembrano davvero troppo grandi, la natura esiste e resiste sempre, si trasforma e offre rifugio, a Meg come a Molly.

Un’estate da morire è certamente anche una storia di formazione, perché Meg da quell’estate ne esce senza dubbio trasformata e più consapevole. Ma, e in questo risiede a mio avviso la bellezza del libro, non solo per ciò che accadrà alla sorella Molly, ma anche e soprattutto per l’esplorazione di Meg verso gli altri e verso sé stessa, delle proprie passioni, limiti, paure e risorse.

Non è un caso che la scuola e tutto ciò che ci ruota attorno resti sullo sfondo. I mesi sembrano scanditi più che altro da un cammino interiore.

Meg è appassionata di fotografia e questa passione emergerà sempre più come strumento di relazione con il mondo e con gli altri, in primis i vicini di casa, ma anche come occasione di crescita e di identità. E’ sempre la fotografia che, sul finale, sancirà un legame di amicizia indelebile – tra Meg e il vicino Will –, di passato che vive nel presente – con la sorella Molly -, e un nuovo sguardo che offre un’opportunità diversa di guardare a sé stessi.

E poi ci sono loro, quelli che, insieme a Meg e al suo rapporto con Molly, reggono l’impalcatura del romanzo: gli altri personaggi, tutti meravigliosamente ritratti, ben definiti, mai banali.

La madre, con la sua allegria spensierata e la trapunta da cucire pezzo dopo pezzo con i vestitini delle figlie, una specie di patchwork di ricordi; il padre, con la sua sensibilità interiore e le sue genialità; il vicino Will, nonché padrone della loro casa, un signore che è legato a quella terra come nessun altro e che in essa tiene vivo un passato prezioso, lui sarà la vera sponda per Meg; e infine Ben e Maria, i due nuovi vicini, che in quella terra daranno nuova vita, con entusiasmo, libertà e un pizzico di ribellione.

Sono tutti personaggi bellissimi perché ognuno di essi è portatore di un’esistenza specifica, di un diverso approccio alla vita che, in un modo o nell’altro, dona qualcosa a Meg.

Perché a un certo punto diventa evidente che il male, qui, c’è e non è rappresentato dall’uomo bensì dalla vita stessa. E forse non è nemmeno corretto chiamarlo “male”, piuttosto “dolore”, e accade ed è inspiegabile, non si può far altro che tenere lo sguardo sulle persone accanto a noi e le cose belle che, come dice Meg, comunque continuano ad accadere. Questo è il senso di questi bellissimi personaggi, e della natura, che resiste e si trasforma.

Vorrei scrivere molto altro, vorrei averlo scritto meglio, per restituire giustizia alla ricchezza di questo romanzo, ma sento che mi sono spinta già oltre. Spero di avervi incuriositi, e se qualcuno/a avrà voglia di ripassare di qua, dopo aver letto libro, sarò felice di ascoltare, proprio come fossimo seduti a un tavolino davanti a un caffè.

Il tempo passa, la tua vita è ancora lì, devi viverla. Dopo un po’ ricordi le cose felici più spesso di quelle tristi. Poi, a poco a poco, gli spazi vuoti e silenziosi dentro di te tornano a riempirsi dei suoni delle chiacchiere e delle risate, e i margini appuntiti della tristezza vengono smussati dai ricordi.

UN’ESTATE DA MORIRE

di Lois Lowry

Traduzione di Enrico Santachiara

21lettere edizioni

Anno di pubblicazione: 2021

Prezzo di copertina: 12 euro

Disponibile in ebook

Età di lettura: dai 12 anni, per tutti

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3 risposte a “Un’estate da morire”

  1. Gloria Montani ha detto:

    Finito oggi pomeriggio questo romanzo, ma le vibrazioni ci sono ancora tutte. Sono d’accordo su tutto quello che avete scritto. Aggiungo solo le mie connessioni e gli echi letterari che ho ritrovato in questa storia. Il rapporto tra queste due meravigliose sorelle mi ha portato indietro ( tanto) alle “Piccole donne” della mia preadolescenza, in particolare a Meg e Jo ( anche se in quel caso a morire sarà la piccola Beth) e ho rivissuto nel conflitto caratteriale e nei progetti delle due protagoniste la mia personale ricerca di una strada ( erano proprio gli anni ’70). Mi fermo qui, ma avrei tanto altro da dire… a quando il pranzo ?

    • Silvia Sai Silvia Sai ha detto:

      Cara Gloria, grazie del tuo commento che mi ha aperto l’eco al legame tra sorelle in “Piccole donne” al quale non avevo pensato ma che trovo calzante. Anche alcune atmosfere cupe ma serene al contempo, quasi un’accettazione del dolore. Capisco che avresti molto da dire, come io stessa ho scritto, probabilmente non basta un caffè. E’ un libro che custodirò nel cuore.

  2. Caterina ha detto:

    Questo libro mi ha colpito come pochi.
    Colpito per la sua delicatezza: si percepisce che i sentimenti e le emozioni sono stati elaborati, ma ci vengono restituiti con una dolcezza che ti permette di decidere come affrontarli e quanto approfondirli dentro di te.
    Mi ha colpito il rapporto tra le due sorelle : le differenze si notano e vengono indagate senza falsi pudori.
    Mi ha colpito l’uso della fotografia come mezzo per evidenziare i sentimenti. Le foto sono ciò che permette a Meg di “leggere” gli altri e i loro sentimenti. Io, che non so nulla di fotografia, ho apprezzato il fatto che attraverso i ritratto, ho conosciuto i personaggi principali. La foto di Will, le foto della nascita e infine l’ultima, hanno fissato i caratteri e le sfumature.
    Mi hanno colpito i vari personaggi : finalmente persone normali, senza troppi drammi interiori. Un padre che ho adorato, Will, un adulto di riferimento pratico, che a ogni stagione identifica un problema al camioncino, Bert e Maria che provano a vivere a modo loro.
    Mi ha colpito la delicatezza nell’affrontare la morte: una cosa reale, che fa parte della vita e come tale va affrontata.
    Si sente che siamo negli anni ’70 con tutti i pregi e i difetti dell’epoca. Vorrei dire molto di più, ma la fine, con il ritrovamento dei tratti di Molly nel viso di Meg mi ha commossa. Preparati che qui ci vuole almeno un pranzo per parlarne!

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