Un libro quanto mai attuale, anche alla luce dei conflitti in Siria o a Gaza; il punto di vista di una bambina, come tante, che racconta dei suoi giochi, della sua quotidianità, delle amicizie e del suo andare a scuola in un lontano paese, una esistenza serena che si incrina e diventa preoccupazione e fatica allo scoppiare della guerra, che costringe Leyla e la sua famiglia ad imbarcarsi per attraversare il mare, un mare che lei non sapeva nemmeno immaginare…La paura, una volta approdata in terra straniera, si trasforma per Leyla in disorientamento, nel sentirsi fuori posto in un luogo che non riconosce come suo, nel non sentirsi a casa, nel dover trovare equilibri nuovi e diversi con amici e compagni. Un libro che porta un messaggio di speranza, perchè Leyla, alla fine, trova la pace, sia del corpo che dell’anima, quella pace che le mancava nel proprio paese. Un libro che al contempo indica anche strade e direzioni per chi incrocia la vita di chi è appena arrivato, per guardare oltre ciò che si vede o ciò che sembra, per guardare al cuore delle persone.
Il libro è nato, nella mente dell’autrice, quando è entrata in contatto con il mondo dei bambini rifugiati in Inghilterra grazie ai racconti della cognata, insegnante di sostegno per l’inserimento dei bambini migranti nelle scuole di Oxford. Lei le ha mostrato i disegni di questi bambini e raccontato storie faticose e tragiche. Ma allora Sarah aveva quattro figli piccoli e poco tempo per dedicarsi ad un progetto importante. Anni dopo, con il marito si sono trasferiti temporaneamente in Nuova Zelanda. Lì, uno dei primi giorni, Sarah, alla ricerca di qualche pezzo per arredare e rendere casa quella che li avrebbe ospitati temporaneamente, si è trovata in un “charity shop”, una sorta di piccolo mercatino della Caritas qui in Italia. E lì è stata folgorata, colpita dagli sguardi bassi e carichi di ansia di una famiglia di migranti Birmani. Ha così iniziato una ricerca diversa, quella di un libro per bambini che permettesse a chi migrante non era di capire o avvicinarsi ad un altro mondo e a chi migrava di riconoscere e dare un nome e una legittimità a quello che stava vivendo. Ha preso così contatti con la comunità Birmana in Nuova Zelanda, ha conosciuto insegnanti e visitato le case modeste ma piene di dignità di queste famiglie. Lì ha notato come, in ogni casa, vi fossero colorate coperte tipiche della tradizione birmana, coperta che è ritornata nel suo libro, come la coperta della nonna di Leyla, quella coperta che la teneva stretta al suo paese ed ai suoi ricordi.
La storia di Leyla, quando è stata concepita, voleva essere slegata appositamente da ogni fatto concreto o tragedia in corso, in modo da renderla trasversale e vera in ogni contesto. Leyla è ispirata ad una bambina ebrea di cui l’autrice aveva letto la storia e ad una bambina curda di cui aveva visto la foto in un giornale. Ma, in fin dei conti, Leyla ha una vita propria, vissuta con coraggio, umorismo e forza.
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