Nella prima storia – “Le scarpe” – si mette in scena un tipico momento di relazione madre-figlia, con un altrettanto tipico escamotage adottato dai piccoli.
Quando mia figlia Tina, ad esempio, non ha voglia di camminare, solitamente appronta una motivazione ai suoi occhi talmente evidente quanto inconfutabile: “le mie gambe non vogliono camminare”.
Ebbene, anche Gufetta, a passeggio con la mamma, dopo aver schiacciato di proposito una formichina (in quanti libri troviamo così palese la cattiveria dei bambini?) ed essere per questo stata rimproverata, si giustifica così: “Non sono stata io! Sono state le mie… scarpe”.
Sono sempre le scarpe a essere arrabbiate e a non voler più camminare, amenochè la mamma non le compri un gelato (se poi è un “cono scarabeo-vermetto”…).
Solamente questo esordio vale la bellezza del libro.
Ma vale la pena proseguire perché all’orizzonte arriva in gioiosa corsa l’amico Porcello…
“Ma ecco che un enorme terribile mostro dai denti giganti si getta su di lui per divorarlo”.
Ed è proprio ciò che accade. Il povero Porcello, in tutte e tre le storie, appena compare il mostro, viene mangiato (o quasi).
Per fortuna c’è Gufetta a dare un bel calcio al mostro aiutando l’amico (prima storia) o a saltellare nel pancione bavoso causando un terribile mal di mare al mostro che infine vomita la sua merenda, ossia i due amici che ne escono alquanto impiastricciati e puzzolenti (seconda storia).
E se il mostro osa interrompere il gioco del “nascondi-porcello” tra Gufetta e l’amico, la punizione arriva da sè. In quel gioco, infatti, chi perde viene mangiato (per finta) e si dà il caso che sia proprio Gufetta a spalmare di senape piccante il povero Porcello, che tanto felice non è. E secondo voi che accade al mostro che si pappa Porcello cosparso di piccante?
Mi è piaciuto moltissimo il personaggio di Gufetta, così “comandina” e così reale nelle sue prese in giro e nei comportamenti non sempre rispettosi, diciamo così. Ma anche nella suo sincero coraggio che dimostra quanto vuole bene all’amico.
Mi sono piaciute le conclusioni delle storie, sempre così serene e divertenti, un gelato goduto insieme, un tuffo in corsa sul passeggino per lavarsi nello stagno, o una bella merenda da Pato Patata.
È un libro carico di espressività, resa benissimo dalla illustratrice Gwendoline Raisson, di colori ben definiti, di movimenti e colpi di scena.
In una bella semplicità e sintesi racchiude un pezzetto di mondo infantile, fatto di desideri, frustrazioni, amicizie, arrabbiature e immaginazione (ma poi il mostro è proprio reale!).
Il testo di Cati Baur è breve, racchiuso in ballons nei dialoghi, e libero nella pagina, per la voce narrante. L’alternanza di riquadri con scene diverse in una stessa pagina avvicinano molto il libro allo stile del fumetto e per questo si presta perfettamente alle prime letture autonome (i dialoghi sono in stampato minuscolo mentre la voce narrante in maiuscolo).
Può essere molto apprezzato anche a partire dai 3 anni, occorre però che ogni tanto l’adulto aiuti il bambino, indicando con un dito, nel seguire la narrazione. Insomma, un libro perfetto per letture con bambini di età diverse!
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