Conoscevo lo scrittore svedese Henning Mankell per i suoi romanzi con protagonista il commissario Wallander, non sapevo tuttavia che avesse scritto anche libri per ragazzi. O meglio, romanzi con protagonista un ragazzo, che poi siano libri per ragazzi o per adulti non saprei onestamente definire con certezza.
Il ciclo di 4 romanzi con protagonista il giovane Joel Gustafsson appartiene però senz’altro a quella letteratura di formazione che tanto può svelare agli occhi di un ragazzino quanto a quelli di un adulto, con prospettive diverse.
Mankell ci porta negli anni ’50, in un paesino sperduto della Svezia circondato da foreste di abeti, “in una casa con le pareti che scricchiolano sulla riva di un fiume dalle acque limpide”; la natura è potente e freddo e neve connotano quasi una condizione esistenziale. Conosciamo Joel quando nel primo libro (Il cane che inseguiva le stelle) ha 11 anni, lo saluteremo all’età di 15 anni, nel quarto e ultimo volume (Il ragazzo che voleva arrivare ai confini del mondo).
La narrazione di Mankell ha un ritmo pacato ma incalzante, coinvolgendoci nella crescita di Joel, in un viaggio di cui sempre più ci sentiremo partecipi. Con Joel si condivideranno piccole e grandi avventure, sogni, paure, desideri, ma soprattutto una forte, fortissima pulsione verso la vita. Tutto è raccontato in terza persona, ma attraverso il filtro emotivo di Joel che non ha segreti con il lettore: le relazioni con i paesani, gli affetti e i drammi familiari, le piccole abitudini quotidiane, i grandi sogni, le scoperte e le brucianti delusioni, gli entusiasmi e il dolore.
Lo stile di Mankell è dotato di una sottile e costante ironia, di quelle che fanno sorridere mostrando un punto di vista insolito. La scrittura è pulita, senza alcuna sbavatura, una scrittura pregnante in cui ogni parola ha il suo peso (probabilmente la traduzione di Laura Cangemi ha svolto un ruolo importante).
Ci sono alcune costanti nei 4 volumi che rendono questo ciclo assolutamente armonioso e coerente.
Le peculiarità caratteriali di Joel, ad esempio, che guideranno ogni sua scelta e avventura. Un ragazzino risoluto (nulla sembra impossibile!), solitario e riflessivo (quanto ho adorato il suo speculare su cosa significhi diventare adulti!), autonomo, perché la vita gli ha donato mamma Jenny, che un bel giorno se ne è andata senza apparente motivo, e un padre dal cuore grande ma distrutto dal dolore.
Fin da subito conosciamo le segrete fughe notturne di Joel, alla ricerca di risposte alle sue mille domande, le corse in bicicletta, i ritardi a scuola e l’amore per la geografia, il diario, il suo accoccolarsi nella nicchia della finestra, e ancora le patate che bollono sul fuoco, in attesa del padre.
Il tempo non vuole fermarsi. Continua a correre. E Joel corre con lui. Dalla neve mezza sciolta germoglia una nuova primavera. E arriva un’altra estate, con il sole che sembra non stancarsi mai di splendere. E arriva l’autunno con i mirtilli rossi, le foglie che cadono e la brina che scricchiola sotto le ruote della bicicletta.
Una costante sono le paure di Joel, terrificanti e sfidanti. Esse entreranno prepotenti nel terzo libro (Il ragazzo che dormiva con la neve nel letto) quando l’urgenza del futuro diventerà un pensiero fisso per Joel il quale non esiterà ad affrontarle di petto, con quella visione incantata propria dell’infanzia e quella sfrontatezza tipica dell’adolescenza. E’ con questo spirito che il ragazzino proverà a diventare una rockstar, dichiarerà solenni buoni propositi per l’anno nuovo nel cuore del cimitero in piena notte, si prefiggerà di vedere una donna nuda e dormirà sotto il gelo della neve.
Dicevamo i sogni, quelli che proiettano se stessi nel futuro, che rendono impavidi e smaniosi di fare ed essere. Essi sono il motore di gran parte della narrazione, lo sono quando si proiettano nel passato, ogni volta che Joel pensa a mamma Jenny e scava alla spasmodica ricerca di risposte impossibili; lo sono quando si confronta con papà Samuel, non tanto come figura genitoriale, ma come modello di adulto in cui Joel in parte si vuole riconoscere.
Samuel è stato marinaio, avventuriero, ha solcato mari e con i suoi racconti ha alimentato l’immaginario mitico di Joel, ora lavora come taglialegna e vive una vita schiva, ingabbiato nei rimpianti e nei sogni, nella sua promessa mai mantenuta di abbandonare un giorno il lavoro da boscaiolo per tornare a solcare le onde del mare insieme al figlio. Una figura bellissima, quella di papà Samuel, in continua evoluzione per tutti i 4 libri.
Sarà proprio il confronto con le figure genitoriali, e l’inseguimento di questi sogni e delusioni, a mettere alla prova Joel, nell’ultimo volume, l’unico ambientato a Stoccolma, in una chiusura del cerchio agrodolce come inevitabilmente è la vita.
Compiere dodici anni era un grande avvenimento. A quel punto, ne sarebbero mancati solo tre per avere quindici, quando avrebbe potuto guidare il motorino e vedere i film vietati ai minori nella Casa del Popolo. Quando si compivano quindici anni, ormai si era più adulti che bambini.
Erano questi i pensieri a vorticare nella mente di Joel un pomeriggio del settembre 1957. Era domenica e si era avventurato in una spedizione nella grande foresta che circondava il paese in cui abitava con suo padre.
Joel aveva deciso di scoprire se era possibile perdersi di proposito. Ma aveva anche altre due importanti domande su cui riflettere. La prima era se in effetti non sarebbe stato un vantaggio nascere femmina e chiamarsi Joella invece di Joel. La seconda domanda era che cos’avrebbe fatto una volta diventato adulto.
Ma facciamo un passo indietro.
Scrivevo che Joel è solitario, eppure saranno proprio alcune relazioni amicali a rappresentare uno degli aspetti più interessanti dei libri.
Dopo un’esperienza deludente e dai risvolti drammatici vissuta nel primo libro, Joel si avvicina in particolare a due persone singolari. Diciamo pure i reietti del paese, i diversi, gli emarginati. Gertrud la Senzanaso, una donna con una spaventosa malformazione fisica, ma anche uno sguardo acuto capace di addentrarsi nell’animo di Joel. Insieme condividono segreti, in un’amicizia iniziata in modo burrascoso poi diventata meravigliosa. E poi il matto del paese, matto davvero, che ama gironzolare di notte per il paese proprio come Joel, che gli apre lo sguardo su cose inimmaginabili, infine, una figura salvifica per Joel.
In queste persone, Joel si imbatte in modo casuale, solo in un secondo momento riconosce in loro ciò evidentemente nessun altro vede. E’ incuriosito, Joel, certo, e spinto da una profonda umanità. Joel, che desidera tanto uscire oltre i confini di quel paesino, trova il modo di vivere avventure e confrontarsi con il diverso da sé nella costruzione di queste amicizie. Senza alcuna retorica né buonismo.
Come nella più bella letteratura, il protagonista entra nel cuore del lettore, scivolando pian piano, offrendo una ricchezza di immagini, pensieri ed emozioni difficili da dimenticare. A me è accaduto ciò. Sarei davvero curiosa di sapere cosa ne pensa un lettore coetaneo di Joel.
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