Un libro illustrato che racconta la commovente storia di fedeltà di Hachiko, che aspetta il suo padrone ogni giorno, per dieci anni consecutivi dopo la sua morte davanti alla stazione di Shibuya a Tokio. Una storia semplice, delicata e pulita che consigliamo a tutti gli amanti degli animali!
Dai 9 anni in lettura autonoma
Se volessimo raccontare con una estrema sintesi poetica un libro illustrato di 160 pagine ecco che l’haiku, tipica forma di poesia giapponese dal preciso ritmo sillabico, ci viene in aiuto con il suo essere semplicemente essenziale e pulita.
Cane fedele
Stazione in Giappone
Ti aspetto qui
E’ così anche la storia raccontata nel libro illustrato Hachiko. Il cane che aspetta edito da Albe edizioni e scritto da Lluís Prats Martínez con illustrazioni di Zuzanna Celej. Essenziale e pulito.
Una storia lunga undici anni e mezzo che ci porta in un paese lontano, il Giappone, in un tempo per i bambini antico, inizio del novecento, a scoprire una ordinata e semplice quotidianità famigliare, quella della famiglia del Signor Ueno in cui, ad un certo punto, entra un cane, Hachiko.
Doveva essere un regalo per la figlia; il signor Ueno, preso dal suo lavoro di professore universitario in agricoltura all’università di Tokyo, quasi pare non preoccuparsi dell’arrivo di un ingombrante nuovo membro famigliare. A casa nostra invece l’arrivo del nostro cane Penny ha portato scompiglio e trambusto, necessità di riorganizzare l’ambiente e i ritmi famigliari, di rivedere le regole e di trovare nuovi equilibri. Un ciclone in piena regola. In casa Ueno regna invece la compostezza e il rigore tipici giapponesi, ove l’ordine e il silenzio, il rispetto delle regole appartiene a tutti, cane compreso.
Hachiko, cucciolo di razza akita, arriva in una cassa a bordo di un treno dalla regione del nord del Giappone direttamente all’ufficio postale della stazione di Shibuya a Tokio. E’ mezzo morto per il freddo e il professore lo avvolge dentro la sua giacca per portarlo a casa: è una specie di imprinting. Hachiko ha un solo padrone, il professore. Un cane che è tipicamente giapponese non solo per via della pura razza che dall’antichità viene allevata in Sol Levante ma anche nell’animo e nel vivere. Pare non divorare ciabatte, fare pipì in casa ma rispettare regole non scritte di un regolare ménage famigliare giapponese. Niente casino e ordine, pure il cane! Unica marachella che il libro racconta è quella di un bonsai rovesciato e prontamente rimesso in sesto, di nascosto dalla moglie, dal professor Ueno.
Ma se l’immagine dell’ingresso senza scossoni poco assomiglia a quella dell’arrivo del mio cane Penny nella nostra incasinata famiglia, ecco che il nuovo membro a quattro zampe “buca” la bolla di perfezione della vita del Signor Ueno, che, pian piano, perde il suo aplomb e si innamora del fedele compagno a animale. Hachiko è devoto, lo riconosce subito come padrone, alla faccia del regalo che doveva essere per la figlia, in silenzio, senza troppo abbaiare, entra in una simbiosi profonda con il professor Ueno e solleva il sipario sull’emozione che in fin dei conti alberga anche nelle famiglie giapponesi. Hachiko e il suo padrone si riconoscono e rispecchiano l’un l’altro nel loro essere profondamente amanti delle quotidianità, delle passeggiate all’aria aperta, delle scoperte.
La figlia si sposa e se ne va di casa. La moglie del professor Ueno è convinta che Hachiko se ne andrà con lei ma così non è: il futuro marito è allergico ai cani! è buffa, vista dagli occhi di un occidentale moderno, la scena della richiesta della mano della figlia. Un imbarazzato futuro genero che guarda per terra e risponde ad un interrogatorio sulle condizioni sociali e sulle prospettive di vita offerte che si conclude con una domanda all’apparenza di carattere logistico.
“Le piacciono i cani?” chiese guadandolo attentamente.”Glielo chiedo perchè qualche mese fa ci è arrivato un akita per Chizuko…”
Il giovane Tsumoru esitò prima di rispondere: temeva che la sua risposta non risultasse gradita. Poi disse:
“In verità no, sono allergico – una allergia spaventosa. Se un cane mi si avvicina, mi copro di bolle”.
A queste parole, il professor Ueno spalancò due occhi grandi come arance. Il giovane non sapeva cosa pensare.
“Sarà un problema, questo del cane?” chiese senza osare nemmeno respirare.
“No, caro Dottor Tsumoru”
Dentro quegli occhi grandi come arance c’è una esplosione di emozioni tutta giapponese, la consapevolezza che quel cane che tanto sentiva suo sarebbe rimasto per sempre!
La storia ci racconta di abitudini che si consolidano, come quella del rito dell’accompagnamento alla stazione e dell’attesa. Hachiko ogni mattina accompagna infatti il padrone a prendere il treno alla stazione di Shibuya e alle 17.30 ogni pomeriggio torna ad aspettarlo lì, davanti alla porta, per accompagnarlo fino a casa. Pare un vero e proprio agente di scorta il cane, ma non ha nulla di militaresco questa sorveglianza, piuttosto è carica di amore e di dedizione, di fedeltà profonda. Tutti coloro la cui vita ruota attorno alla stazione si affezionano ad Hachiko che ormai è divenuto parte della quotidianità cittadina, scandendo orari e abitudini. C’è il capostazione, il ragazzo dell’ufficio postale, la geisha, la signora delle pescheria. Ognuno di loro dedica attenzioni al cane.
Dopo un’anno e mezzo di attese ricompensate dall’arrivo del padrone, un giorno di maggio del 1925, la porta della stazione si apre come consuetudine alle 17.30 in punto ma il professor Ueno non esce. Quel giorno, durante una importante conferenza che stava preparando da tempo all’università, muore per un colpo apoplettico. Hachiko continuerà ad aspettarlo per i successivi dieci anni, ogni giorno davanti alla porta della stazione. In fin dei conti il suo padrone glielo aveva promesso proprio l’ultima mattina in cui era stato accompagnato alla stazione,
“Quando torno stasera andiamo a fare un bel giro. Te lo prometto solennemente, Hachiko. Mi senti? Solennemente. Tu e io da soli, d’accordo? Aspettami qui come sempre. A più tardi!”
Hachiko, cane fedele, ha fatto quello che il suo padrone gli ha chiesto, lo ha aspettato lì. Se il ritmo della storia fin qui è stato quello lento e scandito delle giornate del professore, si ha una improvvisa accelerazione spazio temporale. Dieci anni in pochi capitoli.
La moglie del professor Ueno si trasferisce in un’altra città insieme alla figlia; Hachiko viene affidato a parenti in campagna ma scappa e ritorna alla stazione di Shibuya. Diventa il cane di tutti, ma un po’ di più di colui che era stato il giardiniere del professore. Poi anche il giardiniere deve lasciare Tokyo e Hachiko si trasferisce a dormire sotto un vagone del treno fermo in stazione. Ora è definitivamente il cane della stazione. Curato e accudito da tutti coloro la cui vita si intreccia e transita per quel luogo. Un cane in attesa. Sul collare, per evitare che il Comune lo portasse via pensandolo un cane randagio, attaccano una medaglietta “Proprietà del Professor Eisaburo Ueno e della stazione di Shibuya”. Fanno anche una colletta per dedicare una statua ad Hachiko, proprio lì di fronte alla stazione.
Il finale è di quelli che stringono il cuore, soprattutto perché la storia di Hachiko è una storia vera, una storia di amore infinito. Hachiko è ancora lì oggi, a distanza di quasi cento anni, davanti alla porta di una stazione che non è più quella di un tempo, luogo diventato uno degli incroci più affollati del mondo. Ma in mezzo al caos e all’andirivieni frenetico, ancora oggi i passeggeri hanno il tempo di fermarsi e osservare la statua del cane fedele, che aspetta anche loro. Anche io e le mie bambine abbiamo avuto la fortuna di incontrarlo qualche anno fa in Giappone.
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