Dove è la diversità normale nei libri per bambini?

Silvia Sai

(o la normalità diversa?)

In questi giorni mi è capitato spesso di riflettere sul tema DIVERSITA’ nella letteratura per l’infanzia. Il concetto di “diversità”, in senso ampio, mi è alquanto caro e lo frequento da diversi anni per studio e lavoro (sono antropologa culturale). E’ per me fonte di frequenti ragionamenti e qui vorrei condividerne una parte, con chi avrà voglia di leggermi.

Parlare di diversità ci pone immediatamente su un terreno ampio, delicato e scivoloso, molto scivoloso.

Innanzitutto, cosa intendiamo esattamente con questo termine? Spesso, senza rendercene quasi conto, lo poniamo in relazione ad altri termini. E’ per questo che mi pare d’aiuto ragionare attorno alla diversità in stretta relazione ad altri due concetti : NORMALITA’IDENTITA’.

Chi sono io rispetto agli altri? In cosa sono/mi sento diverso?

Parlare di diversità non equivale forse a sentire ed eventualmente manifestare una propria identità come diversa in rapporto ad una presunta normalità?

Se così è, ne consegue che normalità e diversità si ridefiniscono vicendevolmente e in modo fluido e relativo. Nessuno è sempre e solo normale, nessuno è sempre e solo diverso. E ogni bambino sperimenta più volte l’essere diverso e l’essere normale.

Perché diversità, così come i suoi concetti fratelli, prendono corpo e sostanza solo all’interno di una RELAZIONE.

Penso si possa serenamente tutti noi concordare sul fatto che la varietà è l’essenza stessa dell’essere uomo, e probabilmente oggi è ben più visibile e tangibile che in passato, anche agli occhi dei bambini. Le diversità (sempre percepite in modo soggettivo!) assumono ampie sfaccettature: di genere, familiare, di razza, culturale, religiosa, fisica, di opinione e pensiero, di gusto e così via.

Proviamo ora a fotografare col pensiero, quindi a figurarci, una qualsiasi classe primaria del nostro Paese. Diciamo una classe di 30 bambini. Di questi, volendo restare nella media statistica, 3 sono di origine straniera (ma sappiamo che in molte realtà questo dato ha cifre ben più consistenti: Reggio Emilia ad esempio raggiunge medie del 17% e in diverse classi più del 50% di presenza di bambini cittadini non italiani).

Vi sarà poi una percentuale X di bambini con ‘disabilità’ (fisiche o psichiche, disturbi dell’apprendimento, o comportamentali…), così come bambini con 4 nonni viventi e bambini che i nonni non li hanno mai conosciuti, bambini con alle spalle nuove forme familiari (coppie miste, adozioni, omogenitoriali, omosessuali etc.), bambini che si identificano in diverse appartenenze religiose o che parlano più lingue. E poi, bambini con specifiche usanze/prescrizioni alimentari, bambini con gli occhiali, bambini sovrappeso, e così via. Sto classificando, me ne rendo conto, ma è utile a chiarire la questione.

E dunque ora arriviamo al punto del mio ragionamento.

Quanto di questa diversità che i bambini hanno sotto gli occhi tutti i giorni la si ritrova negli albi illustrati e nella narrativa che il mercato editoriale propone?

Qualcuno dirà, c’è, eccome. Ed è vero.

Libri, ad esempio, che affrontano direttamente la questione di nuove genitorialità e forme familiari iniziano ad essercene molte, così come libri che raccontano di bambini con disabilità o con tratti fisici evidenti (pensiamo a IBBY che propone annualmente una selezione bibliografica internazionale d’eccellenza sui libri per ragazzi con disabilità, qui le info).

Bambini di diverse razze, culture, storie migratorie? L’elenco è lungo, soprattutto nella narrativa. Molti altri libri affrontano la diversità in rapporto all’identità, quindi il tema della paura del diverso, o della diversità di pensiero, l’incontro con l’Altro.

Eppure, è proprio questo direttamente che mi lascia perplessa. Perché se è vero e importante che nella scrittura di un autore o autrice vivano anche valori e visioni del mondo a lui/lei proprie (la scrittura è arte, atto creativo!), ciò non significa che queste visioni debbano diventare manuali di retorica, insegnamenti morali, schede di didattica camuffate in storie. Per intenderci, se nell’esperienza di lettura di un libro (che sia albo illustrato, narrativa o qualsiasi altro) ciò che affiora prepotentemente, anche se a volte ben nascosto, è un “messaggio”, ecco che questa cosa dovrebbe accendere la nostra attenzione critica. E non sto dicendo che il significato, o meglio, i significati anche valoriali non debbano affiorare. Ma ciò che stupisce, incanta, meraviglia, il lettore deve essere in prima battuta altro.

Più che di insegnamenti, c’è bisogno di storie che coltivino immaginari e vocabolari adatti a parlare di diverse realtà.

E io mi pongo una domanda, perché in tutto ciò avverto un grande, grandissimo vuoto.

Dov’è la DIVERSITA’ NORMALE, quella che non ti parla direttamente, che se non le presti attenzione non la vedi, quella diversità che un bambino forse non noterebbe nemmeno perché inserita in una narrazione più ampia?

Dove sono i libri che NON rendono la diversità protagonista, oggetto e, quindi, fine ultimo della storia?

Io fatico molto a trovarli. Mi basta però solo un’immagine di un libro per esemplificare ciò che sto cercando di comunicare.

Osservate l’illustrazione. Notate qualcosa?

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Il libro da cui è tratta l’immagine è un silent book tedesco, edito da Ravensburger nel 1990 (“Plitsch, Platsch Wasserspass”).

Perché é così difficile rappresentare una diversità normale? Forse la nostra società fatica ad accoglierne una percezione ‘normalizzante’ perché la diversità spaventa in primis gli adulti i quali (mossi certamente da ottime intenzioni!), sentono piuttosto l’urgenza di focalizzarla, spiegarla, insegnarla, renderla ‘amica’ ai bambini. Addomesticarla.

Io credo invece che la diversità, in quanto dato di fatto, non dovrebbe sempre essere evidenziata, indagata, valorizzata, sottolineata. 

Questo lo sanno bene i bambini, il cui sguardo percepisce molta normalità nella diversità (e non intendo dire che in esso non vi sia meraviglia o curiosità per ciò che è percepito come diverso. Ma per loro il diverso è spesso il nuovo, e quanto c’è di nuovo nella vita di un bambino!).

Non c’è dubbio che nei libri per bambini uno sguardo diretto sulla diversità sia positivo. Ma lo è altrettanto, se non maggiormente, una diversità più di sfondo. Ed è lo sfondo che manca. Leggo storie con bambini “diversi” e poi questi stessi bambini in altri libri non li trovo più. E me ne rammarico perché se rappresentata sottovoce, la diversità, può emergere in modo davvero RIVOLUZIONARIO.

Le storie più potenti ed efficaci, a mio avviso, sono quelle in cui OGNI bambino può riconoscersi in una diversità universale, una diversità che in un attimo può trasformarsi in normalità, e viceversa. Sono i libri che aprono immaginari, lasciano domande, e non risposte.

E’ sempre una questione di punti di vista. E l’esperienza di lettura è di per sé un’immersione potentissima e bellissima in altri punti di vista. Basterebbe quello. Leggere buoni libri.

Il mio è un pensiero personale e forse pecca di ignoranza di diversi libri che invece colmano il vuoto di cui ho parlato.

Che ne pensate?

POSTILLA:

Sottesi al mio ragionare, vi sono altri interrogativi:

Quale società/mondo/realtà riflettono i libri per bambini? Una realtà per come la percepisce l’autore, l’illustratore, l’editore, il bambino (e quale bambino)? Inoltre, i libri riflettono un dato mondo con l’idea di rappresentarlo così come lo si vede? O invece ideale, desiderato? O idealizzato? Come emerge, se emerge, nei libri lo sguardo dei bambini sulla realtà?

Sono sicura non vi sia una risposta univoca a queste domande, che aprono a una visione anche politica e sociale della cultura. Mi rendo conto che siano interrogativi insensati per molti. Credo però che se tenessimo a mente queste domande quando leggiamo, scegliamo, consigliamo un libro per bambini, svilupperemmo uno sguardo più consapevole e, in definitiva, più arricchente.

(L’illustrazione di copertina è di Marie-Louise Gay)

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10 risposte a “Dove è la diversità normale nei libri per bambini?”

  1. Chiara ha detto:

    Complimenti, bellissimo articolo.
    Grazie!

  2. […] ma compresa nella narrazione come elemento “naturale” (un perfetto esempio di “diversità normale” come ebbi modo di scrivere  in un […]

  3. mon fernandez ha detto:

    Ciao Silvia!
    Cercando risposte alle mie domande mi sono trovata questo tuo scritto meraviglioso. Io sono una mamma single per scelta mia, mio figlio non ha un papà. Ha soltanto una mamma che ha scelto di averlo grazie ad un donatore. Mio figlio è piccolo ma le cuginette già chiedono come mai non abbia il papà. Mi trovo che tutti i libri trattano il discorso come dici tu, come un problema, come qualcosa di diverso e io vorrei trattarlo con tutta normalità. Hai qualche libro da consigliarmi? Posso farmi eco in spagnolo qui in spagna del tuo testo? Intanto complimenti

    • Silvia Sai Silvia Sai ha detto:

      Carissima, grazie per averci scritto e averci raccontato la vostra storia. Comprendo le tue perplessità e pensieri. Pensa che sul blog abbiamo ospitato un post di una mamma, mia cugina per altro, che ha vissuto la tua stessa esperienza di maternità. Lei ha trovato un albo, meraviglioso, che esprime esattamente ciò che nel suo animo si muoveva e ciò che l’ha spinta a compiere quella scelta. Lei l’ha regalato proprio alle sue nipoti più grandi per “spiegare” l’arrivo del cuginetto, in questo modo un po’ insolito, almeno in Italia oggi. Io lo trovo dolcissimo e penso potrebbe interessarti leggere il post di Lisa (di cui se vuoi in privato posso darti i contatti), e magari cercare l’albo di cui parla. Se vuoi scrivici via mail info@gallinevolanti.com e possiamo approfondire. Ecco il link al post http://gallinevolanti.com/lupo-lupetto/. Grazie!

  4. Giovanna ha detto:

    Finalmente qualcuno che lo dice forte e chiaro!

  5. Marzia ha detto:

    Ciao Silvia,
    sei riuscita a spiegare in modo chiaro e conciso quello che io non riuscivo a esprimere.
    Sto scrivendo una tesi universitaria sulla letteratura infantile (spagnola e italiana) in particolare sul tema del “diverso”. Anche io come te non vorrei “categorizzare” queste cosiddette diversità e vorrei anche riuscire a spiegare che in realtà già la parola diversità premette qualcosa di negativo.
    Visto però che ho ancora le idee un po’ confuse su questo argomento, e non riesco bene a ordinare e esporre il mio pensiero al riguardo, hai qualche articolo da consigliarmi?
    Grazie

    • Silvia Sai Silvia Sai ha detto:

      Ciao Marzia, grazie! Innanzitutto, ti consiglio il N° 35 (“Il migrante”) della rivista dell’associazione HAMELIN. E’ molto interessante. Per quanto riguarda il tuo quesito, inoltre, mi pare si avvicini molto a una riflessione sulla rappresentazione dello “straniero” da un punto di vista antropologico. Puoi consultare diversi testi di Sociologia e/o Antropologia delle migrazioni. Credo sia un buon punto di partenza, direi necessario. Se hai bisogno di consigli più approfonditi, scrivimi pure via mail a info@gallinevolanti.com, sarò felice di consigliarti! In bocca al lupo, Silvia.

    • Antonella Sofia ha detto:

      Ciao, sto scrivendo la mia tesi proprio su questo argomento…avrei dei consigli da chiederti sulle fonti da consultare. La mia ricerca verte maggiorment sulla rappresentazione della disabilità nelle fiabe e negli albi illustrati

  6. scaffalebasso ha detto:

    Interrogativi interessanti Silvia! Sarebbe bello parlarne de visu!! 😀 E potrebbe essere un circoscrivere un tema ampissimo come è quello di diversità. Io, ad esempio, ho lanciato la sfida al mio gruppo di Milano di cercare albi che raccontassero la diversità in prima persona e non come “cosa che riguarda altri”… ne riparleremo.

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