Con una scrittura limpida ed efficace, Morosinotto dà vita a una storia di formazione, la storia di Totò, un ragazzino come tanti, che scopre l’esistenza della mafia nel suo paese, e inizia a farsi delle domande: esiste davvero? cos’è realmente? ed è così terribile? e se è terribile, perché nessuno ne parla? La sua quotidiana normalità è ora minata da un’unica domanda.
Perché, perché? Questo il leit motiv che percorre libro, il pensiero che come un tarlo scava nella sua giovane mente, la domanda che lo spingerà a frequentare luoghi proibiti dai genitori, a cercare e parlare con Peppino Impastato, a confrontarsi coi cugini più grandi, ad alzare la voce, a disobbedire, a scappare.
Il cammino di crescita di Totò prende avvio in un momento ben preciso, ritratto abilmente da Morosinotto con una vividezza e un ritmo pari a una sequenza cinematografica (come molte altre scene). Siamo al 23 aprile 1978, e l’inizio della storia coincide con il matrimonio di Luisa, una cugina di Totò.
Ad irrompere nei festeggiamenti come una folata di vento gelido è una macchina da cui scendono quattro signori ben vestiti che portano in dono al padre dello sposo una cravatta, “ma non stringa troppo Don Nino…”. E così come sono arrivati, se ne vanno.
Totò non capisce nulla di quanto stia accadendo, ma percepisce chiaramente la stranezza, la paura, il disagio, la tensione negli invitati. E così quando insieme ai camerieri e ai suoi due cugini più grandi, Michele e Maria, ascolta alla radio uno stralcio della trasmissione di Peppino, Onda Pazza, incontra molte cose sconosciute, cose di cui nessuno gli ha mai parlato. Chi è questa Voce che con fermezza e ironia schernisce e sbeffeggia Tano Badalamenti, un signore che pure Totò nel suo candore di bambino, sa che è “importante”?
Don Tano era la persona più importante di Cinisi, e quando mio padre ne parlava, lo faceva con attenzione, come se il suo nome fosse sempre accompagnato da un segno di croce. Di Don Tano bisognava dire con cautela, o meglio ancora non dire proprio niente.
Di persone che parlano di Tano e della mafia, in realtà ce ne sono, e Totò se le va a cercare. In primis in casa propria, interrogando i suoi cugini, forti sostenitori di Peppino, poi al centro Musica e Cultura, e infine in sella alla sua bicicletta, in fuga dal catechismo del venerdì, proprio da Peppino Impastato nella sede di Radio Aut a Terracina.
Il personaggio di Totò è un miscuglio di tenerezza, timori, curiosità. È un bambino che saluta il mondo incantato dell’infanzia per scoprire che la realtà, quella vera, non è tutta come se l’era immaginata, o come gliel’avevano raccontata. È un ragazzino che si affaccia all’adolescenza, che fa prove di ribellione, che alza la voce contro i propri genitori, con incertezza e maldestria, ma intanto la voce l’ha alzata e finisce in punizione.
Il rispetto per i genitori e la fiducia che ha nei loro confronti gli fa sorgere dubbi, sarà proprio vero che questa lotta alla mafia è giusta? Non ha forse ragione il padre quando definisce Impastato e i suoi amici terroristi peggiori di chi ha rapito Aldo Moro?
Eppure ciò che gli racconta la cugina Maria, quella storia che l’autostrada è tutta curve perche i terreni sono stati espropriati solo ai poveri, a chi non aveva soldi e potere per corrompere… quella storia ascoltata durante una fuga in vespa fino a raggiungere una collina per guardare le curve, moltissime curve, quella storia sembra proprio vera.
Io invece cominciavo a pensare che forse avevano ragione loro, gli studenti, e che magari mio padre non se ne accorgeva solo perchè lui era abituato al mondo com’era già e non aveva nessuna voglia di cambiarlo.
Ma io invece sì, avevo voglia di cambiare tutto, a cominciare da chi ero.
Totò, dodici anni, che aveva riso in faccia a don Tano e poi se l’era fatta sotto per lo spavento. Di certo io non ero come Peppino. Non avevo il suo coraggio. Da dove gli arrivava quella forza? Potevo imparare ad averla anch’io?
E così Totò continua a pensare, e pure a parlare, anche di fronte al padre mentre attende che l’aereo dello zio americano riesca ad atterrare, nell’aereoporto di Punta Raisi costruito in un luogo esposto ai venti, un luogo in cui nessuno avrebbe mai pensato di costruire un aereoporto, amenochè…”secondo te… è stata la mafia?”
La scoppola del padre arriva improvvisa, a cacciare quelle sciocchezze che di certo i cugini gli hanno messo in testa. Seguono i discorsi, e le punizioni.
Ma Totò ormai è cresciuto e la sua vita è irrimediabilmente connessa, per quelle poche settimane tra aprile e maggio 1978, a quella di Peppino Impastato. Le parole di Peppino risuonano forti in Totò: “E lì scoprii che la mafia non era l’unico modo di vivere. Non era obbligatoria. Si poteva stare senza, anzi, di più: si poteva combattere”.
L’intreccio tra la storia di finzione, quella di Totò, e quella reale, di Peppino – ma anche delle imminenti elezioni, e del rapimento di Moro – è perfetto.
Morosinotto conduce con sicurezza il lettore in una quotidianità estiva siciliana, vera e verosimile, in un crescendo di ritmo mozzafiato.
Tutto è intenso, le poche pause descrittive, come i pranzi in famiglia, sono solo preludio ad un’accelerazione narrativa.
Il finale è intuibile, quello che conduce Peppino alla morte per mano mafiosa, ma è descritto attraverso gli occhi di Totò che si trova a viverla in prima persona, in una notte di fughe, corse, terrore e incredulità.
Un libro prezioso non solo perché racconta una bella storia in cui facilmente ci si può identificare, ma anche perché aggiunge un tassello importante all’esercizio della memoria e della libertà.
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