Sunita è una bimba di 10 anni. Sunita è rom. Sunita non può andare a scuola perché non c’è il pulmino. Questa è la storia vera, un po’ romanzata, di Sunita, scritta dal maestro Luca, che in casa sua l’ha accolta per garantirle il diritto allo studio.
Aprire le porte di casa propria alla diversità è un gesto che sublima l’accoglienza: significa guardare con occhi empatici l’altro, mettersi in discussione, come persona, come famiglia, come società.
Diario di Sunita sono 251 pagine che si leggono tutte d’un fiato, trascinati dalle parole e dai pensieri schietti di una bambina alle soglie dell’adolescenza, catapultata in una quotidianità nuova.
Da settembre a giugno, Luca racconta attraverso l’espediente narrativo del diario scritto da Sunita un anno scolastico, l’ultimo della scuola primaria, vissuto dal lunedì al venerdì a casa dei gadžè (i non rom, gli italiani), e nel weekend con la famiglia rom al campo. Sunita ha perso un anno e mezzo di scuola, è una delle tante infanzie le cui vite restano impigliate nelle maglie troppo strette della politica, delle leggi, di una cultura che spesso genera diffidenza e indifferenza.
Una bambina, da sola, non può passare attraverso queste maglie senza restarne invischiata. Amenochè non vi sia qualcuno, come Luca Randazzo, maestro e scrittore dall’animo fortemente intriso di infanzia e giustizia, che inizi a tirare questa rete fino a farne uscire la bambina.
Giovedì
7 febbraio 2013
Allora io ho detto: “Ma se vengo a casa vostra ci posso andare, a scuola”. Io lo dicevo sempre, quando venivano a trovarci. Loro rispondevano sempre: “Ci verresti davvero?” E io dicevo di sì. Però non è che poi succedeva davvero.
Invece quella volta, quando io ho detto di sì, come al solito, loro si sono guardati e io ho pensato: ora mi prendono davvero. Per un attimo volevo rimangiarmi quella parola che avevo appena detto: “Sì”. Ma ormai l’avevo detta. E comunque io ci volevo andare davvero da loro.
Insomma, ci volevo andare, ma non ci volevo andare.
L’autore è andato incontro a due grandi rischi nella scrittura di questo libro, seconda sua uscita per Rizzoli (è del 2014 L’estate di Giacomo). Il primo riguarda la forma narrativa scelta, il secondo ha a che fare con il tema di fondo. Assumere la voce narrante di un bambino non di rado trasmette un’impressione di finzione e artificio. Diario di Sunita invece si caratterizza per uno stile limpido a riprova del fatto che l’autore è riuscito a eludere un linguaggio falsamente ingenuo o al contrario scanzonato: pagina dopo pagina pare proprio di sentir parlare Sunita. In secondo luogo, pur caratterizzandosi per un forte senso sociale, politico e civile, il testo non scade nella retorica, nel pietismo, né tantomeno nella militanza. Ho molto apprezzato i diversi passaggi in cui lo sguardo di Sunita illumina con naturalezza le luci e le ombre della vita con gli italiani così come della vita al campo. E attenzione, è uno sguardo sì anche giudicante, ma sempre e comunque di una semplice bambina, non di un adulto.
Ben lontano dall’essere un romanzo di pura denuncia sociale, dunque, Diario di Sunita è il godibilissimo racconto di un frammento di vita, anzi di più vite intrecciate tra loro.
I gadžè vogliono che io vada a scuola tuti i giorni. Mi svegliano tutte le mattine insieme a Marta, alcuni giorni Luca e altri giorni Clelia. Io sono molto veloce a prepararmi, mentre Marta ci mette un sacco di tempo. Io la chiamo “Miss Perfettina” perché quando siamo a fare colazione lei è sempre davanti allo specchio a pettinarsi. Alla fine arriva e non fa nemmeno colazione perché non c’è tempo.
Poi io e Marta prendiamo le nostre biciclette e pedaliamo fino a scuola.
Al centro della storia c’è ovviamente lei, Sunita. Esuberante, scanzonata, piena di energie, spavalda, contraddittoria nei pensieri e nelle emozioni come è giusto che sia una bambina di 10 anni. Ci sono le riflessioni, le scoperte, i sentimenti, le rabbie, sempre malcelate, l’ironia, i desideri d’esser grande e forse un po’ anche “normale” come la “sorella” Marta, ci sono occhi limpidi sul mondo. Sunita scrive il suo nome dappertutto, vuole essere la più brava, non ammette debolezze o mancanze, desidera essere grande, e non piange mai (dice). Ma in fondo resta una bambina che, anche se dice di non credere più alle cose da bambini, come al topolino che lascia una monetina sotto il bicchiere al posto del dente caduto, la mattina corre a guardare sotto al bicchiere.
Luca racconta un anno vissuto intensamente, costellato di piccoli e grandi eventi: il primo pigiama party con le amiche, le gite domenicali, le amicizie, le simpatie e gli amori, le vacanze in montagna e la prima esperienza con gli sci, la recita di fine anno a scuola, la prima volta dal dentista.
E poi la scuola, che non è fatta solo di bigliettini passati sottobanco con l’amica Sofia o delle giornate in cui no, proprio non si ha voglia di andarci. Già, perché Sunita deve recuperare il tempo perduto, e i gadžè le offrono l’aiuto possibile, per imparare a scrivere in corsivo, acquisire una regolarità nello studio e allenarsi a dedicare del tempo alla lettura. E c’è una maestra che dopo averle affidato come compito la stesura di un diario, offre in lettura l’Odissea, un libro che accompagnerà Sunita anche nEl campo rom.
Ciò che contraddistingue il Diario di Sunita è il racconto delle piccole cose. Piccole ma non meno importanti, piccole perché a 10 anni ogni cosa piccola è anche grande e la vita è fatta di quotidianità che come un puzzle compongono lo scorrere dei giorni. Sunita non è sola ad animare questo mosaico.
Presenza delicata nel racconto, ma ben significativa, è la famiglia di Luca. Insieme condividono i momenti della giornata che Sunita racconta in istantanee quotidiane. Troviamo dunque i gesti e le abitudini familiari come il rito della buonanotte con la chitarra o con una storia, la doccia della domenica sera –imprescindibile!-, il pettine tra i capelli alla ricerca dell’ennesimo pidocchio –che in casa li porta sempre Marta con la sua testa riccioluta!-.
Venerdì
30 novembre 2012
Le cose più strane a casa dei gadžè succedono di sera. Prima di andare a letto fanno duemila preparativi. Per gli italiani è normale, ma per me no. Io quando ho sonno chiudo gli occhi e dormo. Se sono nel letto, bene. Se sono nel divano è uguale.
Invece dai gadžè bisogna:
– mettersi il pigiama
– lavarsi i denti
– dare la buonanotte a tutti
– infilarsi nel proprio letto
A me un po’ mi piacciono tutti questi preparativi. Più di tutto mi piace il bacio della buonanotte. Però mi piace anche un po’ fare come mi pare. Una volta l’ho detto a Marta e Bianca e loro hanno deciso che verranno a vivere con me. Bianca perché non vuole mettersi il pigiama tutte le sere. Marta perché vuole dormire sul divano.
E’ nel rapporto con Marta, sua coetanea, molto più che con l’altra “sorella” Bianca troppo piccola, che Sunita fa emergere le singolarità di un anno vissuto vissuto come “figlia in prestito” o “figlia finta”, come afferma lei. E se da un lato Marta è la bambina con cui Sunita vive una quotidianità complice, sgraffignando la cioccolata nascosta in cucina, ascoltando musica e ballando, giocando con le barbie nella vasca da bagno, pedalando verso scuola sotto la pioggia, sussurrandosi segreti abbracciate nel letto, Marta è anche lo specchio sul quale Sunita riflette tutto ciò che vorrebbe essere, e forse anche ciò che non vorrebbe essere. Miss Perfettina, la chiama Sunita nelle pagine del diario, puntellate di piccole invidie e gelosie verso una bambina che ai suoi occhi forse ha una strada già ben definita e spianata, al confronto della sua, così incerta e mobile.
Tra le righe di questo rapporto amicale, si inseriscono Luca e Clelia, figure adulte che provano a indirizzare Sunita verso una ‘sua’ strada personale. Inutile dire che l’intera famiglia ne risulta scombussolata, in essa difficoltà e gioie si alternano per conquistare un rinnovato equilibrio familiare. E se Marta fa ginnastica artistica, e Sunita subito vorrebbe emularla, ecco che diverse pagine del diario descrivono la crisi che investe la famiglia proprio perché Luca e Clelia le negano tale possibilità. Non mancano litigi e porte sbattute, ma nemmeno la capacità delle figure adulte di sapere ascoltare e affrontare un disagio. Orgogliosamente, Sunita troverà la sua strada sportiva: giocare in una squadra di calcio.
Si intuisce qui il senso dell’accoglienza. Non si tratta solo di ospitare una bambina per permetterle di andare a scuola, ma di svolgere un ruolo educativo significativo. Indirizzare, agevolare, stimolare un percorso di scelte e autonomie consapevoli. Ma anche dare una forma disciplinata alla vita di una bambina certamente non avvezza alle regole e alla regolarità.
Sunita non perde occasione di sottolinearlo, apprezzando divertita o criticando con insofferenza, le abitudini diverse. Già, perché uno degli aspetti più riusciti di questo libro, a mio parere, è la capacità di tenere insieme in un flusso narrativo armonico l’intreccio di diverse quotidianità, al campo rom come a casa degli italiani.
Riporto di seguito uno dei passaggi a mio avviso più intensi:
Lunedì
26 novembre 2012
Ogni casa ha un profumo. La mia, quella dei gadžè, quella dei miei nonni. Tutte hanno il loro profumo. La mia è profumata di fumo, quello che esce dalla stufa che mio babbo ha costruito e messo in mezzo alla baracca. Lui sa costruire tutte le cose del mondo. Be’, quasi tutte, però molte. La stufa l’ha fatta con un barile di lamiera. L’ha tagliato più basso, poi ha aperto uno sportello che serve per la legna. Sopra ci ha incastrato un tubo che porta il fumo fuori dalla baracca. Però un po’ resta sempre dentro, perché esce dallo sportello e così profumiamo tutti di fuoco.
La casa dei miei nonni profuma di tappeti. Mia nonna è fissata e ne ha un sacco, tutti belli. Siccome si sta tutti senza scarpe, i tappeti li pestiamo con i calzini e sono morbidi sotto le ita. Queando è bel tempo Anifa li sbatte su un filo che ha teso tra due alberi fuori dalla sua baracca.
La casa dei gadžè invece sa di muffa. Praticamente nella nostra stanza c’è un grande armadio viola con i vestitit delle bimbe, ma non i miei perché non ci stanno. Dietro l’armadio sulla parete si forma sempre la muffa. Così la nostra stanza prene quell’odore schifoso, che poi si sente un po’ in tutta la casa, tranne che in bagno e in cucina.
In bagno c’è il profumo di Miss Perfettina.
In cucina c’è l’odore di tutte le cose disgustore che cucina Luca, tipo i broccoli, che è pure peggio.
Case, persone, famiglie, consuetudini diverse comunicano tra loro attraverso le parole di Sunita che le ritraggono con uguale schiettezza e lucidità. La realtà del campo rom, della sua famiglia, scorre come un filo rosso nel diario, attraverso i ricordi, i pensieri scaturiti da eventi particolari, o semplicemente dalle visite nel fine settimana. Sunita ricorda le baracche distrutte dalle ruspe, le avventure sul camion del nonno –e si chiede perché mai non possa accompagnarla a scuola con quello!-, racconta della mamma e dei suoi denti, così malmessi –ma la mamma non ci andrebbe mai dal dentista perché ha paura-; parla dell’acqua, che non c’è, del bucato, che si fa quando si può, della sporcizia, dei soldi, del nonno che non paga le multe, dei giochi in libertà con i fratelli e le sorelle. Racconta del fidanzamento a 15 anni della cugina, con disincanto e pensiero critico, ma anche con un grande orgoglio per ciò che ha e che le appartiene nel profondo.
Mercoledì
19 settembre 2012
Io sono Sunita.
Io sono Sunita.
Io sono Sunita.
Io sono Sunita.
Io sono Sunita.
Io sono Sunita.
Io sono Sunita.
Io sono Sunita.
I am Sunita. Questo è inglese.
Me sem i Sunita. Questo è romanès.
Dispiace quasi arrivare alle ultime pagine del diario. Un po’ perché sopraggiunge quella nostalgia anticipata di fine anno scolastico, un po’ perché ci si affeziona a questa bambina, e un po’ perché le sue sorti, sappiamo, non sono così definite, come precisa l’autore nella nota conclusiva (“Poi esistono storie che non finiscono affatto, che continuano giorno dopo giorno, ondeggiando continuamente tra lieto fine e disastro. Quella di Sunita e della sua famiglia è una di queste”).
Giugno è il mese in cui si chudono molti fili intrecciati durante l’anno: la partita di calcio finale, con tanto di giornalisti, la ‘gita’ al campo rom dove Marta trascorre una notte speciale e insolita assieme a Sunita e alla sua famiglia, il consiglio comunale che vota per la messa a disposizione di un pulmino scolastico anche per il campo rom, e infine, le pagelle, la promozione e la festa di fine anno.
Giovedì
6 giugno 2013
Venerdì scorso abbiamo fatto anche lo spettacolo di fine anno che è stato un po’ come chiudere la scatola delle elementari. Ognuno di noi era in coppia con un amico o un’amica che rappresentava la sua ombra. Io stavo con Giada e insieme abbiamo deciso che al termine della danza ci saremmo separate, come il passato che rimane e il futuro che va via. Lei era il passato, tutta vestita di nero, e io il futuro, tutta bianca.
Clelia dice che quando la mia ombra è andata via io piangevo pe la commozione ma non può essere vero, perché io non piango mai. Però un abbraccio alle maestre l’ho dato e anche forte.
Mi piace concludere questo post citando le parole di ringraziamento dell’autore a diversi bambini (autore che, ora posso dirlo, tra le altre cose è anche mio cugino :-)):
Mi avete insegnato che si può essere bambini spensierati anche vivendo nel fango. Dovunque sarete, se avrete bisogno di me, per quel che posso, sono qui.
P.S. (Dalla nota dell’autore) “Dal momento che il Comune di Pisa ha sgomberato definitivamente il campo nell’ottobre 2015, le persone che si erano prese a cuore i diritti dei suoi abitanti hanno creato un’associazione dal nome Articolo 34. Ne faccio parte anch’io con orgoglio, perché, come ci invita a fare la Costituzione, ci preoccupiamo di rendere effettivo il diritto allo studio dei bambini e delle bambine che abitano nel nostro territorio, qualuncque sia la loro cultura o paese di provenienza. A questa associazione vanno tutti i diritti d’autore del Diario di Sunita, con la speranza che possano contribuire all’istruzione di Sunita, delle sue sorelle e dei bambini che, come lei, partono in condizione di svantaggio nella competizione sociale”.
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