Stanley è orfano e vive con gli zii.
La zia è la personificazione dell’amore e della bontà. Lo zio è una persona a cui i casi sfortunati della vita hanno fatto emergere il lato peggiore: avido e desideroso di riscatto, insensibile a chi gli sta accanto, sarà lui, o meglio una sua terribile decisione, a innescare il plot narrativo.
In una singolare normalità, infatti, il ragazzino Stan decide di scappare di casa e unirsi a un Luna Park in viaggio, in una sorta di viaggio iniziatico che lo porterà a diventare un nuovo Stan.
Nell’ebbrezza della nuova vita, Stan è “adottato” dal signor Dostoevskij, personaggio bellissimo, il giostraio del pesca-la-papera (i pesci rappresentano il filo rosso della storia nonché creature con cui Stan ha una relazione particolare), e conoscerà diversi personaggi.
Nessuno di questi è banale (a partire dai nomi): ricchi di sfumature se guardati a tutto tondo presentano complessità che si disvelano nel corso della storia, anche grazie a Stan. Gli unici piuttosto uniformi nella loro rigidità e ottusità sono i personaggi “cattivi”, quelli che non sopportano la gioia creativa e disordinata, la diversità e la sregolata imprevedibilità. Sono personaggi che non si evolvono e non si redimono.
Il personaggio di Stan mi è piaciuto molto perché estremamente originale e positivo. Un’anima bella, la definirei. Bambino riflessivo, che vuole bene, ha dignità e sente il dovere di cercare una via migliore nella vita, la sua via, la sua vita. In questo è un ragazzino maturo, consapevole del viaggio di crescita.
Non che non abbia dubbi, paure, rimorsi, sensi di colpa, insicurezze, nostalgie e pianti, ma nonostante tutti gli avvenimenti la sua anima continua a brillare emanando serenità e fiducia.
Sei speciale, gli diranno in tanti, restando affascinati da questa sua specialità che in fondo consiste nell’essere determinato e al contempo sensibile. Proprio la spiccata sensibilità riuscirà a far entrare Stan in dialogo con persone molto diverse da lui, una bimba con grandi ferite nel cuore, il suo papà, in apparenza scontroso e avido, Poncho Pirelli, l’uomo un po’ sbruffone che, appunto, nuotava in una vasca piena di piranha.
La sua anima non si rivelerà solo a Stan stesso, ma anche agli altri, riuscendo a trasformarli e a renderli migliori nel corso della storia.
Risiede proprio in questo, la bravura di Almond, nel saper scendere nel più profondo delle cose con levità, candore e poesia, senza dare dare la sensazione di stucchevolezza.
Il libro si legge bene, scorre in modo intrigante, giocando anche con i linguaggi “stranieri” dei giostrai e dei prepotenti.
David Almond dialoga moltissimo con il lettore, rivolgendosi a lui sin dal principio, trascinandolo nell’evoluzione della storia, invitandolo a cambiare punto di vista, a seguire i personaggi, a farsi una propria idea. Se da un lato queste intrusioni del narratore nella narrazione hanno un effetto straniante e ironico, dall’altro le ho trovate a tratti eccessive e forzate, soprattutto nel finale che non mi ha convinto per nulla. In esso il lettore viene investito della responsabilità di immaginare e costruire un vero finale: la magia che Almond riesce a creare in tutta la narrazione evapora in questo momento, in cui getta il lettore nella storia. Anche alcuni artifici narrativi, alcune lettere ad esempio, mi sono apparsi un po’ forzati e complessi.
Forse è un eccesso di critica, per un romanzo luminoso che mi sento di consigliare vivamente a partire dai 10 anni. In fondo ognuno di noi ha una vasca piena di piranha da affrontare.
Lascia un commento