E’ capitato anche a me, da piccola, di sentire forte e potente l’attrazione per un luogo che doveva invece semplicemente allontanare, un luogo dove la vita pare essersi fermata. E’ capitato anche a me di intrufolarmi in un giardino giungla e in una pericolante casa contadina alla ricerca di un mistero nei sotterranei. Io però ero con un piccolo e sparuto gruppo di avventurieri alla ricerca di emozioni forti, Ella era da sola alla ricerca di qualcosa che le illuminasse la vita. E qualcosa di illuminato lo vedeva durante la notte, una figura di ragazza alla finestra dell’ultimo piano della casa di fronte.
Comincia un viaggio nella vita di un’altra ragazza sola, Mary, che questa volta l’autrice ci racconta con le parole, affidandole a quelle del diario della ragazza. Era il 1982. Frasi semplici e parole dirette quelle che usa Mary per raccontare la sua vita a Thornhill, un istituto per ragazze senza famiglia, dove la famiglia diviene il gruppo: per tutte tranne che per Mary. E’ strana lei. Passa la maggior parte del tempo chiusa in camera sua a costruire pupazzi di stoffa e creta. Parla poco. Dicono soffra di mutismo selettivo, ma il suo diario racconta storie diverse. Racconta di persecuzioni da parte di una compagna di istituto, di una vera e propria azione quotidiana di bulismo che diviene ossessione da parte della vittima e della carnefice.
E’ dura essere senza una famiglia. Ma essere anche senza amici? E’ davvero colpa mia? Sembra che non importi nemmeno all’assistente che è pagata per assistere.
Non lascerò che niente di quello che dicono o fanno mi faccia piangere. Mai. Ma mi fa male dentro. Forse è così che ci si sente quando si muore di crepacuore.
Ci porta ad esplorare i meandri più scuri e faticosi dell’animo umano la Smy e, a rimarcare ciò che le parole raccontano, ecco intere pagine del libro che divengono completamente nere, una tenebra e un abisso in cui si rischia di cadere se ci si immedesima troppo in Mary.
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