Fantasia e immaginazione si innestano su una situazione estremamente quotidiana, il tè del pomeriggio. Tutto è possibile, nel pensiero magico dei bambini, tutto è realtà. Ordinario e straordinario qui convivono armonicamente in un universo narrativo che poggia su un accettabile contrasto di senso.
L’intera storia è piena di contrasti accattivanti in un efficace dialogo tra testo e immagini, in cui il lettore è chiamato a essere protagonista attivo ponendosi domande e dando risposte. E’ chiaro infatti fin dalla copertina che la vicenda è surreale e non priva di una certa ambiguità e mistero, in fondo c’è sempre una tigre, innocua, ma una tigre. Chi è? Da dove viene? Perché ha bussato proprio a quella porta? Perché nessuno la vide più? Dove è andata? E’ proprio questo alone di mistero a solleticare l’immaginazione e a rendere le storie buone storie. E mentre il lettore a un certo punto si pone forse delle domande, Sophie e la mamma non chiedono mai “perché” o “chi sei”, osservano, offrono, salutano. Non diventano amiche, la tigre e Sophie, non c’è conoscenza, se non filtrata da gesti di affetto e da una curiosa contemplazione di questo bizzarro personaggio. Il loro rapporto ci viene raccontato nelle illustrazioni, condividendo ciò che il testo non dice mai esplicitamente.
Sono gesti, un abbraccio, la coda che sfiora, lo sguardo curioso e contemplativo della bimba…
La stessa tigre è un contrasto in essere. Simbolo di ferocia e selvatichezza, qui prende il tè, è antropomorfa -anche se priva di vestiti- e pur avendo uno sguardo furbo che rimanda a molti non detti (la tigre non parlerà quasi più dopo l’ingresso in casa), non è minacciosa, è piuttosto beneducata.
Malgrado il “disordine”, reale e simbolico, c’è un grande equilibrio, una serenità di fondo davvvero curiosa e rassicurante, nei fatti che accadono.
Un secondo livello di lettura, può portarci a leggere la storia come una metafora dell’accoglienza, del timore di uno sconosciuto minaccioso che invade il nostro spazio più intimo e rassicurante, le mura di casa, spogliandola di quanto di più vitale ci può essere, il cibo. La visita della tigre è senza dubbio un elemento disturbatore che spezza la routine quotidiana, mettendo pure a soqquadro la casa, ma è anche ciò che permette, nelle pagine finali di ricomporre la famiglia in un sereno momento familiare prima in un’avvolgente passeggiata notturna (unica tavola piena di colori anche nello sfondo) e poi attorno a un tavolo di una trattoria, a gustarsi cena.
Non si cada tuttavia nell’errore di voler intravedere in questo albo messaggi reconditi – qualcuno ha sottolineato ad esempio come la vicenda possa richiamare il senso di invasione della sicurezza familiare vissuta dall’autrice all’epoca della persecuzione nazista -. È Judith Kerr stessa ad aver più volte dichiarato che in questo libro voleva raccontare solo una bella storia inventata per sua figlia.
Teniamoci stretti e cari dunque questa freschezza, questo non-senso, questo mistero, questa ironia, questo incanto che solo le storie pensate davvero per i bambini sanno regalare.
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