Voci nel parco

Silvia Sai

Voci nel parco | Anthony Browne | Camelozampa

Finalmente in Italia il meraviglioso capolavoro dell’autore inglese, un densissimo albo a 4 voci sull’incontro, l’empatia, la solitudine, l’amicizia, i pregiudizi.

È uno di quei libri che ti si appiccica addosso. Lo leggi, lo rileggi, lo chiudi, lo apri, lo leggi ancora, poi lo riapri, e non puoi farne a meno perché percepisci che ha molto da raccontare, nel testo e nelle illustrazioni.
Ogni (ri) lettura è una scoperta.
Sono così, scatole cinesi infinite, gli albi illustrati di Anthony Browne, geniale pluripremiato scrittore e illustratore britannico.
Voci nel parco forse si distingue ancor più, almeno tra quelli tradotti in italiano (purtroppo non moltissimi), tanto rivela, tanto racchiude di non detto, di immaginabile. E non è questa la potenza della più bella letteratura: intessere un grande tessuto bianco aperto all’immaginazione del lettore?
Ringraziamo dunque la casa editrice Camelozampa per averlo portato in Italia!

Se il canovaccio della storia è di una semplicità disarmante – una passeggiata al parco! – l‘architettura narrativa imbastita da Anthony Browne trasforma l’esperienza della lettura in un intrigante gioco di ricomposizione di senso che tiene insieme mondo interiore e realtà più cruda con, a ben vedere, echi filosofici (è possibile avere una visione d’insieme della realtà o è necessario coglierla attraverso diverse esperienze della stessa? mi sono chiesta a fine lettura…).

Ecco che abbiamo dunque quattro capitoli per quattro distinte voci – rese con quattro font distinti -, quattro punti di vista, a raccontare la passeggiata al parco, dall’uscita di casa, al tempo trascorso al parco (indefinito perché soggettivamente diverso), fino al rientro a casa.
Una mamma, un papà, un bambino (figlio della mamma), una bambina (figlia del papà). Due cani.
Tutti rappresentati come gorilla, soluzione amata e già usata dall’autore: un pizzico di surreale ma anche un modo per offrire un’identificazione al di là di razze e provenienza, forse…
Ne risulteranno quattro esperienze molto diverse di una medesima situazione (la realtà è soggettivamente determinata!) e quattro ritratti dei personaggi arricchiti da tutte le altre voci!

Voci nel parco racchiude la complessità nella semplicità.
E parla di un mucchio di cose: di incontri quasi salvifici, di genitori opprimenti o deboli, di speranze e tristezze, di solitudini, di giochi spensierati, di ottimismo, di empatia, di ascolto e di non ascolto, di corse libere e sfrenate.
Al centro, sempre i bambini, qui fin dalla copertina, i bambini, le cui voci saranno le ultime che leggeremo nell’albo ma le più importanti, sembra suggerirci Browne.

Voci_parco_Anthony_Browne_Camelozampa_Galline_Volanti

La “prima voce” che incontriamo – resa con un font classico e neutro – è quella di una donna benestante, tutta imbellettata, il cui figlio Charles – tristissimo e invisibile quasi in questo capitolo – è trattato alla stregua del loro cane “di pura razza”, Victoria. La mamma non apre quasi mai gli occhi, annulla con la sua presenza quella del figlio (come non notare nelle illustrazioni quella sua presenza ingombrante, anche nella stessa ombra?), non entra in relazione con alcuno, nemmeno con Charles al quale dice solo, giunti su una panchina al parco “Seduto” ho detto a Charles. “Qui”.
La passeggiata si interrompe quando la donna, già di molto infastidita perchè Victoria ha incontrato un “meticcio arruffato ha cominciato a darle noia, quell’orribile animale”, si accorge che anche il figlio Charles sta giocando con una sconosciuta poco raccomandabile. Un urlo, e si torna a casa.
La passeggiata per questa voce non sembra aver apportato alcuna modifica alla vita della donna, o del figlio. Un tempo piuttosto veloce in cui il cane ha fatto una corsa al parco, nulla più.
Già in questo primo capitolo abbondano gli elementi surreali, simbolici, i rimandi e le citazioni di cui le illustrazioni di Browne in questo albo sono ricchissime, e invogliano il lettore a frugare tra le pagine come una caccia al tesoro; e non si tratta solo di vezzi d’artista, ma di elementi narrativi dotati di senso. Avete notato le foglie autunnali dell’albero spazzate via dall’urlo della donna? E la chioma in fiamme di un altro albero mentre madre e figlio fanno rientro a casa?

La seconda voce è sempre di un adulto ed è introdotta da un font pesante, ben marcato. Ora siamo in pieno inverno. E la prima immagine è molto eloquente: un gorillone, un papà, sprofondato nel divano, giornale aperto, una sguardo triste, che più triste non si può.
Mentre si dirige con il cane verso il parco, però, notiamo accanto a lui un volto sorridente, anche se comprendiamo bene solo alla fine del capitolo che lei è una lei, ed è Smudge, sua figlia. Le poche parole del padre che anche al parco si chiude tra le pagine del giornale in cerca di lavoro – “bisogna pure avere qualche speranza, no?” – sono compensate dalla narratività eloquente delle illustrazioni e dalla figura della figlia “Smudge mi ha tirato su di morale. Ha chiacchierato tutta allegra fino a casa”.
Comprendiamo così quanto da un esordio di quotidianità difficile (simboleggiati dal quadro di Monnalisa e Raffaello in lacrime e dal Babbo Natale mendicante sul marciapiede, l’urlo di Munch disegnato sul giornale…), la giornata si concluda con un sorriso grazie alla figlia Smudge (e sulla via del ritorno vedremo Monnalisa e Raffaello ora figure danzanti sul marciapede, insieme a Babbo Natale, e un lampione a forma di fiore, con king kong sullo sfondo…).
Ma come non citare anche la splendida doppia pagina in cui i cani giocano a rincorrersi in un bosco-foresta dai toni scuri e freddi, in cui tronchi e rami assumono le forme di zampe e proboscidi di elefante?
Già, perché i cani corrono, e giocano, giocano a rincorrersi. In tutti i quattro capitoli, sono sempre lì, a correre incuranti di ciò che gli altri pensano o dicano di loro.

Anthony Browne distingue nettamente il mondo adulto e quello bambino, e lo fa ponendo una linea di demarcazione potentissima.
Gli adulti sono rappresentati chiusi nella loro individualità, ognuno preoccupato dalle proprie questioni, nelle loro voci l’altro non è incluso nel racconto, se non in modo dispregiativo e marginale, sono loro il centro di tutto, loro e i cani. Al parco non sembrano accorgersi di nulla.
I bambini, invece, sono coloro che entrano in relazione con l’altro, non solo conoscendosi tra loro, e giocando, ma anche relazionandosi in modo empatico con l’adulto e i cani.

Charles, la terza voce, è un bambino solo e triste, il font scelto non poteva che essere esile e delicato. “Ero a casa da solo. Di nuovo. È così noioso. Poi mia madre ha detto che era ora della passeggiata”.
Al terzo capitolo conosciamo già la situazione e i personaggi, possiamo dunque divertirci a comprendere i diversi punti di vista. E’ così sorridiamo leggendo che, agli occhi di Charles, Victoria incontra un cane “molto socievole” e “si stava divertendo un mondo. Sarebbe piaciuto anche a me.”
L’ombra della madre è sempre incombente ma questa volta il paesaggio ha cenni primaverili e gli alberi e le nuvole assumono la forma del cappello di Magritte, dunque ogni cosa è possibile. Anche conoscere una coetanea piuttosto forte e spavalda (Smudge!) con la quale giocare mille giochi, in un cielo e in un prato che simbolicamente si tingono d’azzurro e verde brillante.
E mentre Charles rientra a casa con la mamma, lo sguardo è tornato triste, non c’è più la chioma in fiamme, intravediamo invece in corrispondenza di ogni suo passo un petalo di fiore di rosa, petali di amicizia, gioia, e speranza.
Chissà se Smudge ci sarà la prossima volta?”.

E se non l’avessimo ancora capito, ecco arrivare la quarta voce, quella della bambina Smudge, a darcene conferma nelle illustrazioni: i quattro personaggi al parco sono tutti seduti sulla medesima panchina, alcuni si ignorano (gli adulti), altri si incontrano (i bambini e i cani).
Il font è frizzante e giocoso; la stagione estiva è sottolineata da frutti giganti che diventano chiome d’albero; tutto sprigiona allegria (anche il lampione coloratissimo ora a forma di corona!).
Smudge è una bambina curiosa, libera, anche nei pensieri: netto il giudizio sulla mamma di Charles – “quella stupida scema” -, sincero quello su Charles – “all’inizio pensavo che fosse un po’ imbranato, invece è a posto” -, affettuoso quando si rivolge al padre, per il quale nutre un amorevole senso di cura e protezione.
L’incontro tra Smudge e Charles, che già avevamo conosciuto nella voce del bambino, ora si arricchisce ulteriormente di dettagli, di pinco panco, risate alla fontana, chiosco della musica, fino a rendere incredibilmente dilatato questo tempo dell’incontro, dell’amicizia e della felicità – “e mi sentivo proprio ma proprio felice” – .
Scopriamo che Charlese infine le regala un fiore e che quel fiore, una volta adagiato nell’acqua di una tazza in camera sua (e che tazza!), andrà ad alimentare ricordi e speranze.

Che ci vuole raccontare dunque, Browne? Una storia, tante storie.
Una parabola narrativa segue un percorso ben preciso, meravigliosamente narrato anche attraverso le immagini: dal greve al lieve, dall’egoisimo all’altruismo, dalla costrizione alla libertà, dall’incomunicabilità alla parola, dall’autunno all’estate.
Che ci vuole dire, se qualcosa vuole dirci? Che la realtà è complessa e si nutre di tante prospettive ed esperienze, di vite che si incontrano, avvicinano, annusano, e allontanano…? forse il profumo di questi incontri resterà solo un profumo, forse rivivrà in altri incontri, come si augura Charles…

VOCI NEL PARCO
Anthony Browne (testo e illustrazioni)
Sara Saorin (traduzione)
Camelozampa – Collana: Le piume
Anno di pubblicazione: 2017
36 pp. | 25 x 30 cm.
Prezzo di copertina: 16 euro

Età di lettura: dai 6 anni

[Ringraziamo Camelozampa per la copia omaggio ricevuta]

Svolazzi ancora un po’?

Condividi questo articolo sui social

2 risposte a “Voci nel parco”

  1. […] albi di Anthony Browne (per esempio Voci nel parco, Tutto cambia), così come in quelli di Jon Klassen (Toh! Un cappello!), il gioco di punti di vista […]

  2. ale ha detto:

    Grazie per il commento profondo e dettagliato. Unica osservazione: il cappello che Charles vede ovunque è quello della madre, non di Magritte; piuttosto che un simbolo di speranza, l’ho interpretato come il marchio dell’oppressione!

Rispondi a ale Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *