L’incipit, o prologo, mette ben in chiaro cosa sia il centro del mondo: una casa tra il fascino e l’inquietudine, e una famiglia decisamente anticonformista. Un centro guadagnato con sofferenza e dolore dalla madre Glass quando, diciassettenne e incinta di 9 mesi di 2 gemelli (Phil e la sorella Dianne), si imbarca su una nave che da Boston la porterà in Europa, per ricostruirsi una vita a Visible, una casa che sembra un castello, su un’altura al limitare di un bosco e di un “minuscolo paesino”, una casa ora disperatamente cupa perché la sorella maggiore Stella proprietaria della casa è appena deceduta. Glass lo scopre mentre, stremata dal viaggio, dà alla luce i suoi figli tra gli alberi di fronte a casa, di notte.
Si potrebbe pensare inizio più drammatico?
Non so, eppure il centro del mondo si delinea come un luogo sereno che restituisce ai due gemelli un’infanzia non convenzionale, libera e piena di affetti.
Se il tempo della storia salta continuamente tra passato e presente, il tempo della narrazione è quello del Phil di oggi, e tutto quanto scopriamo su cosa è avvenuto prima di questa età lo esploriamo pian piano nel corso delle 400 pagine.
Il centro del mondo è sempre Visible e la famiglia che lo abita. Loro che, agli occhi abitanti del paesino, giudicanti e sprezzanti – la “piccola gente” come li chiama Phil, – sono i diversi, quelli strani e venuti da lontano, quelli che abitano in una casa misteriosa, con la madre Glass, la “strega”, spirito libero e forte che frequenta e ama “troppi” uomini, con il ragazzo a cui piacciono gli altri ragazzi, e con la sorella che “si muove nel mondo come un filo di nebbia invisibile e impalpabile” e gira di notte a fare il bagno nel fiume con un’amica.
A loro (gli abitanti del paese, n.d.r.) questa casa non piace. Hanno paura delle sue grandi finestre (…). Perché basta anche solo vederle da lontano per capire e sentire che ti obbligano ad ampliare il tuo sguardo sul mondo.
E’ proprio questo il problema forse, lo sguardo che abbraccia l’orizzonte, accogliente: la famiglia si allarga fin da subito, con Tereza, amica, confidente, dolcissima seconda mamma per Phil e Dianne, e altre persone che in un modo o nell’altro si fanno strada, qualcuna per andarsene, qualcuna per restare, ma tutte lasciano il segno, non solo nei protagonisti ma anche in noi lettori. La tensione verso l’orizzonte – l’ignoto, il futuro pieno di possibilità – si incarna emblematicamente nella figura di Gable, quel parente che tanto fa sognare Phil, marinaio e giramondo che di tanto in tanto fa loro visita a Visible portando con sé storie, profumi, oggetti da chissà dove.
La spinta centrifuga dal centro del mondo però è anche quella che ribalta tutto e fa mettere in discussione se stessi e il proprio modo di vivere, in un’esplorazione interiore che occupa buona parte della narrazione. Leggiamo questo nelle vicende, nei pensieri e negli interrogativi di Phil, ma anche della sorella Dianne e di altri personaggi, ognuno a suo modo, alla ricerca di un proprio posto nel mondo.
Ho trovato molto interessante come il libro offra un intreccio variegato di camminamenti, tutti gravitanti attorno a Visible ma ognuno al contempo a sé stante, quasi a ribadire che alla fine la vita si vive da soli.
Dopo un’infanzia di giochi nel “giardino-giungla” e di grande complicità, Phil e Dianne diventano criptici e ostili l’un l’altro. La sfera affettiva di Phil si popola di nuove persone: l’amica Kat, figura piuttosto centrale nel romanzo, così come Nicholas, il nuovo compagno di scuola con il quale Phil intratterrà una relazione amorosa.
Ecco che il centro del mondo per Phil si arricchisce dei pari – l’amica e il compagno – in una trama di relazioni che tuttavia si fa sempre più complicata, poco limpida, concitata, fino ad arrivare al climax che darà una sferzata improvvisa e piena di emozioni verso la conclusione.
Poi, quasi a bilanciare quel senso di apertura, ci sono le chiusure, i non detti, i silenzi e i segreti di famiglia (a partire dall’identità ignota del padre dei gemelli, altra presenza-assenza determinante nel cammino di Phil) che diventano benzina sul fuoco, nonché quell’elemento che trascina il lettore curioso tra le pagine.
Se non si fosse capito, Il centro del mondo è un romanzo dall’architettura e dall’intreccio solidissimi, da lasciar quasi increduli per quanto tutto quel groviglio stia in piedi con senso e lucidità. Il lettore non può far altro che affidarsi, lasciarsi trasportare, accogliere i fili (e i fiati!) sospesi con la certezza che poi, a un certo punto, verranno ripresi (sempre!). Come l’elegante simmetria con cui si apre e si chiude il libro, quasi un sipario sul palco.
Un’ultima cosa che ho molto apprezzato: diversi sono i fili drammatici, eppure Steinhöfel li intesse nella storia dando loro molta luce, senza ipocrisie o messaggi nascosti, ma con estrema naturalezza e dignità narrativa. Come a dire, tutto può trovare posto nel mondo e tutto entra con spontaneità nella mia storia.
Il centro del mondo è il volume che inaugura la nuova collana Oltre de La Nuova Frontiera, dedicata all’adolescenza con l’intento di andare oltre i generi e l’età.
Una volta Haendel (il professore di Phil, n.d.r.) ci mostrò due fotografie a lezione. La prima era una landa verde simile a un cratere, e nessuno degli studenti seppe identificarla. Secondo le ipotesi più convincenti era un pascolo abbandonato dopo la morte di tre mucche, il cratere di un meteorite caduto su un pianeta sconosciuto, la foresta pluviale vista dalla prospettiva di un uccello. La seconda immagine era una foglia d’acero. La prima fotografia era un particolare ingrandito della seconda. Forse non ho sempre prestato la dovuta attenzione all’insegnamento che Haendel voleva darci con quelle due foto, ma non l’ho mai dimenticato: con la distanza si ottiene chiarezza. E un po’ di chiarezza è ciò di cui ho più bisogno in questo momento.
P.s. Se vi state chiedendo quando questo libro, pluripremiato, è uscito nella edizione originale tedesca… ecco: 1998 (!)
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