Fuori fuoco, come immersi in una nebbia fitta, senza punti di riferimento, senza sapere dove andare. Fuori fuoco, come quando scatti malamente e niente ha la nitidezza della vita vera. Fuori fuoco, come quando hai 13 anni e intorno scoppia la guerra. Poco a poco, e poi all’improvviso, il calore famigliare della quotidianità perde nitidezza, sembra solo un ricordo lontano e sbiadito.
Jolanda, la protagonista del romanzo Fuori fuoco di Chiara Carminati – Bompiani Editore, è friulana di origine ma insieme a un pezzo della sua famiglia lavora in Austria. E’ il 1914, la vigilia della prima guerra mondiale, quando l’Austria chiude le frontiere, e li rispedisce al mittente come se nulla fosse.
Quando è scoppiata la guerra, eravamo tutti contenti.
Jolanda era felice di tornare al paese di origine, lì avevano lasciato Mafalda, la sorellina minore. Antonio e Francesco, i fratelli maggiori, sognavano di arruolarsi soldati e si entusiasmavano per tutto. Solo la mamma addosso aveva una tristezza più grande della felicità di ricomporre la famiglia.
La guerra, Jole, la fanno gli uomini. Ma la perdono le donne.
Jole, lo prova presto. A casa non ci sono più uomini. Antonio parte per primo, soldato al fronte a combattere per la patria. Lo immagino come un eroe, di quelli che guardano in faccia la morte con la paura ricacciata nella tasca della giacca insieme ad una foto stropicciata, perché la patria viene prima di tutto. Poi viene richiamato il padre. Per fortuna arruolato come forza lavoro nei cantieri militari. Quasi meglio così, pensa Mafalda…
Gli uomini maschi, se stanno senza lavorare, si marciscono.
Infine è il turno di Francesco che se ne scappa con la testa piena di sogni di patriottismo. Alle donne rimane solo una foto, fuori fuoco, della famiglia intera, quasi un reliquiario da custodire con la massima cura perché, di quelli nella foto, non si sa chi tornerà dalla guerra.
Jolanda e Mafalda perdono anche la madre, rinchiusa in un carcere lontano per aver rifiutato la corte di un soldato e accusata di essere filo austriaca. La vita si sfilaccia intorno. Rimangono pochi punti fermi, l’asina Modestine, compagna di viaggi e di fatiche oltre che di giochi, Don Andrea, unico uomo rimasto in paese che consiglia, raccoglie informazioni sul fronte e sui prigionieri, predica dal pulpito con “parole che gli stanno bene in bocca”, un biglietto stropicciato passato frettolosamente dalle mani della mamma a Jolanda mentre veniva portata via.
C’era solo un nome sopra e un indirizzo. Adele Sartori, di Udine, apre loro la porta di casa e il cuore insieme a quella.
Le mani sono state la prima cosa che mi ha colpito e la prima che ho incontrato: appena aperta la porta, le sue mani ci sono venute incontro e ci hanno sfiorato la testa, poi le guance, gli occhi, gli zigomi, le orecchie, le sopracciglia… Adele Sartori era cieca.
In casa di Adele si ricompongono storie sconosciute, nascono nonne che Jolanda e Mafalda non sapevano di avere, dimenticate dietro un muro di silenzi e incomprensioni, di incapacità di accettare scelte diverse. Natalia, la nonna materna, donna il cui cammino di emancipazione si è fermato davanti alla nascita della figlia e che sperava, per lei, un matrimonio di convenienza. L’amore unisce e divide al contempo. La porta di casa di Adele si apriva ad accogliere mentre quella di Natalia, tanti anni prima, si era chiusa alle spalle di una figlia innamorata di un semplice contadino.
Le pagine raccontano storie di donne, di bambine che si fanno ragazze, di vecchie strappate alla morte quasi per miracolo, di bombe scoppiate e orrori di guerra, di voti fatti alla madonna, ultimo appiglio in situazioni non governabili con la ragione e la volontà. Mafalda e Jolanda promettono un pellegrinaggio a Barbana, piccola isola di fronte a Grado, paese di origine della nonna Natalia.
Senza sapere che fare se non assolvere un voto, nonostante i pericoli, le tre donne partono alla volta di Barbana, per rispolverare una vecchia vita. La guerra fa il resto. La famiglia si allarga, piccoli gruppi di donne si ricompongono, viaggiano, cercano strade di salvezza, si scoprono, imparano cose l’una dall’altra e pure mestieri.
Jolanda delle prime pagine è una bambina, Jolanda al termine del libro ha scoperto l’amore, l’importanza delle relazioni ed un mestiere. E’ una donna.
La Carminati ha scritto un libro intenso, condito di storie nella storia. Un racconto della guerra, vista con gli occhi delle donne e soprattutto delle bambine che in quella guerra sono per forza dovute diventare grandi. I fatti storici si mescolano agli accadimenti narrativi dando il giusto equilibrio ad un libro per ragazzi. I capitoli e le storie sono accompagnate da memorie storiche immortalate in foto fuori fuoco, cornici che riquadrano grigi paesaggi e volti che non si vedono, ma accompagnate da didascalie precise, minuziose. Le foto prendono vita nei nostri pensieri. Siamo donne di guerra anche noi alla fine del libro, con la speranza di non diventarlo mai per davvero.
Lascia un commento