Alla fine del mondo

Silvia Sai

Mi ha conquistata piano piano, con una certa fatica iniziale, una pulsione che mi ha spinta pagina dopo pagina, un finale che è giunto improvviso, quando tutto precipita.

Alla fine del mondo è un libro che mi è rimasto appiccicato addosso.

Il romanzo racconta una storia di sopravvivenza, un’avventura che porta i giovani protagonisti a confrontarsi con i propri limiti e con i limiti imposti dalla natura e dalle circostanze, apparentemente fuori dal loro controllo. E’ un racconto corale, con il baricentro ben situato nel protagonista, il giovane Quilliam. E’ una storia ambientata in un tempo e in un luogo lontani, ma che può risuonare, sono certa, moltissime corde nei lettori di oggi.

Le storie di sopravvivenza sono piuttosto accattivanti, non solo perché solleticano l’attesa ansiosa di sapere se il/la protagonista ce la farà e come, ma perché noi stessi siamo sfidati a chiederci “cosa avrei fatto io, in quella situazione inimmaginabile? Sarei stato coraggioso o mi sarei lasciato sopraffare dalla paura?”.

Alla fine del mondo è scritto da Geraldine McCaughrean, nota scrittrice inglese, che ci porta nelle isole della Scozia, nello sperduto arcipelago di Saint Kilda, nel lontanissimo 1727, scegliendo un soggetto narrativo che affonda le radici in una verità storica.

Come ogni anno, in estate, dall’Isola di Hirta parte una barca con a bordo un gruppo di ragazzini e qualche adulto, diretto al Warrior Stac, un faraglione inospitale abitato solo da colonie di uccelli marini (i cui nomi e disegni trovate in un affascinante glossario nell’appendice conclusiva). I giovani, in quello che è a tutti gli effetti un rito di passaggio, si dovranno impegnare in battute di caccia per ricavare dagli uccelli parti preziose per il sostentamento.

Dopo tre settimane, la barca tornerà a prenderli.

Ma questa volta, non torna nessuna barca e per nove lunghissimi mesi nessuno approda sull’isolotto, nessuna notizia giunge dall’Isola di Hirta, dai suoi abitanti, dai familiari. Cosa accade dunque sull’isolotto? Riusciranno i ragazzi a sopravvivere? E perché nessuno torna a prenderli?

La sfida al lettore è così lanciata.

Ma addentriamoci in ciò che a mio avviso funziona in questo libro, al di là del soggetto accattivante.

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Innanzitutto, la centralità della natura che in questa avventura è co-protagonista e non solo ambientazione, è la compagna di vita dei ragazzi: può essere amica, quando offre sostegno e riparo, può essere nemica spietata, quando fa infuriare il vento, il mare, il freddo, il buio. Gli stessi uccelli che vanno e vengono dall’isola, sono ora amici, ora avversari da combattere, sono segni di speranza o presagio di sventure, dipende come si sceglie di considerarli. Quilliam, senza dubbio, ha una sensibilità particolare che lo avvicina agli elementi della natura, agli animali, stabilendo con loro un’alleanza e una fiducia preziosa.

Proseguiamo.

Se il romanzo è avvincente, non lo è solo per la cornice narrativa, ma anche per i singoli accadimenti che scandiscono i mesi di vita sull’isolotto.

Immaginate cosa si scatena nelle menti e negli animi dei giovanissimi ragazzi, ma anche degli adulti al seguito, nella vita drammatica sullo scoglio, che è durissima e si amplifica con l’arrivo dell’inverno, si nutre della mancanza di cibo, di riparo, di calore, si acuisce con la terribile solitudine e si strugge nell’incertezza di quanto durerà tutto ciò, ma soprattutto, nel “perché nessuno viene a salvarci? cosa è accaduto?”

Emerge cioè una pluralità di drammi scatenati dal sorgere di diverse e contrastanti visioni, non solo della situazione contingente, ma dell’esistenza in generale. Leggiamo così di paure terrificanti, di litigi, tentativi di linciaggi, morti, soprusi, ingiustizie, egoismi, deliri, identità svelate …

Un altro elemento di forza infatti – non molto originale per la verità – è che la varietà dei personaggi permette di indagare le diverse reazioni a una medesima situazione: c’è chi affonda nella crudeltà, chi trova in un capro espiatorio il senso di tutto, chi coltiva una speranza concreta e chi una speranza illusoria, c’è chi soccombe all’egoismo, chi trova conforto nella fede, chi nell’amore, chi negli affetti familiari, c’è chi riesce a immaginare un futuro e chi resta invischiato nel sospetto, c’è chi si abbandona allo sconforto e si lascia andare.

Ma nove mesi sono lunghi, e le convinzioni si fanno e disfanno al ritmo delle onde del mare; non c’è alcuna certezza, nemmeno in Quilliam, che sembra il più stabile emotivamente.

Eppure Quilliam resiste, e capisce quanto è importante per gli altri, e per lui stesso, ritrovare un proprio ruolo che dia un senso allo scorrere delle giornate. Così, in una delle parti più riuscite del libro, Quilliam attribuisce dei ruoli di custode a ciascuno dei suoi compagni di avventura. Li investe di una nuova identità umana, che su quello scoglio ormai è stata annientata e risucchiata. Nomina il csutode del fuoco, quello degli aghi (preziosissimi), il custode dei ricordi, quello della musica… e lui, Quilliam, è il custode delle storie.

Infine, ciò che più trovo interessante di questo libro sono i molti interrogativi che esso apre. Interrogativi che di fatto costituiscono l’ossatura della narrazione, insinuandosi nel lettore, o almeno in colui/colei che avrà voglia di soffermarsi e lasciar sedimentare quanto sta leggendo.

Come si può continuare a vivere quando sembra possibile solo sopravvivere (e nemmeno questo è scontato)? Quali sono gli alleati che ognuno, a suo modo, si crea? E ancora: Cosa mai sarà accaduto sulla loro isola da giustificare il fatto che gli abitanti non siano tornati a prenderli? Come convivere con questo devastante vuoto e silenzio, con questa mancanza di senso che abbraccia il passato, il presente e il futuro?

Un romanzo molto interessante che ha vinto nel 2018 la prestigiosa Carnegie Medal e il Premio Andersen 2020, categoria +15 (a mio parere può essere apprezzato ben prima).

 

P.s. Ho trovato confusivo l’iniziale addentrarmi nella storia: la molteplicità di personaggi, unitamente ai nomi non propriamente familiari, mi ha reso difficile l’orientamento e l’identificazione con i personaggi ne è risultata rallentata.

ALLA FINE DEL MONDO

di Geraldine McCaughrean

Traduzione di Anna Rusconi

Mondadori Ragazzi

Anno di pubblicazione: 2019

304 pp. | 14 x 21 cm.

Prezzo di copertina: 17 euro

Età di lettura: dai 13 anni

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