Mi ha conquistata piano piano, con una certa fatica iniziale, una pulsione che mi ha spinta pagina dopo pagina, un finale che è giunto improvviso, quando tutto precipita.
Alla fine del mondo è un libro che mi è rimasto appiccicato addosso.
Il romanzo racconta una storia di sopravvivenza, un’avventura che porta i giovani protagonisti a confrontarsi con i propri limiti e con i limiti imposti dalla natura e dalle circostanze, apparentemente fuori dal loro controllo. E’ un racconto corale, con il baricentro ben situato nel protagonista, il giovane Quilliam. E’ una storia ambientata in un tempo e in un luogo lontani, ma che può risuonare, sono certa, moltissime corde nei lettori di oggi.
Le storie di sopravvivenza sono piuttosto accattivanti, non solo perché solleticano l’attesa ansiosa di sapere se il/la protagonista ce la farà e come, ma perché noi stessi siamo sfidati a chiederci “cosa avrei fatto io, in quella situazione inimmaginabile? Sarei stato coraggioso o mi sarei lasciato sopraffare dalla paura?”.
Alla fine del mondo è scritto da Geraldine McCaughrean, nota scrittrice inglese, che ci porta nelle isole della Scozia, nello sperduto arcipelago di Saint Kilda, nel lontanissimo 1727, scegliendo un soggetto narrativo che affonda le radici in una verità storica.
Come ogni anno, in estate, dall’Isola di Hirta parte una barca con a bordo un gruppo di ragazzini e qualche adulto, diretto al Warrior Stac, un faraglione inospitale abitato solo da colonie di uccelli marini (i cui nomi e disegni trovate in un affascinante glossario nell’appendice conclusiva). I giovani, in quello che è a tutti gli effetti un rito di passaggio, si dovranno impegnare in battute di caccia per ricavare dagli uccelli parti preziose per il sostentamento.
Dopo tre settimane, la barca tornerà a prenderli.
Ma questa volta, non torna nessuna barca e per nove lunghissimi mesi nessuno approda sull’isolotto, nessuna notizia giunge dall’Isola di Hirta, dai suoi abitanti, dai familiari. Cosa accade dunque sull’isolotto? Riusciranno i ragazzi a sopravvivere? E perché nessuno torna a prenderli?
La sfida al lettore è così lanciata.
Ma addentriamoci in ciò che a mio avviso funziona in questo libro, al di là del soggetto accattivante.
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